La vecchiaia era un privilegio di alberi e pietre.
(Wisława Szymborska, La breve vita dei nostri antenati)
Invecchiare è una condizione uguale per tutt*? Le narrazioni e le immagini costruite nelle società occidentali nei secoli per “uomini” e “donne”, sono uguali? Questo numero di roots_routes magazine vuole aprire una riflessione sulle diverse forme di vergogna, conseguenti alle stereotipizzazioni, che sono nate e sopravvivono con tenacia sui diversi immaginari rispetto alla vecchiaia maschile e femminile.
Una condizione biologica, quale è l’avanzare dell’età, prende connotazioni radicalmente diverse per uomini e donne, grazie alla percezione e alla conseguente rappresentazione che la società patriarcale ne ha dato. La vecchiaia femminile è un vero e proprio stigma, spesso intesa come condizione negativa. L’unica caratteristica riconosciuta comunemente, anche nella cultura popolare, per l’età avanzata è la saggezza derivata dall’esperienza, che però non appartiene tradizionalmente alle donne. Le donne sono “istinto”, emozione, non intelligenza e non ragione, dunque, la loro saggezza non progredisce con l’esperienza della maturità. Il ruolo primario attribuito al femminile è il procreare, che con la menopausa, e quindi la fine della fertilità si annulla e trasforma le donne in “vecchie” inutili.
Tra i mesi di marzo e giugno 2023 la National Gallery di Londra ha ospitato una mostra dal titolo The Ugly Duchess: Beauty and Satire in the Renaissance, curata da Emma Capron [1], che aveva al centro la tela del pittore rinascimentale fiammingo Quentin Massys The Hugly Duchesse, realizzato nel 1513, ispirata da un disegno molto simile di Leonardo da Vinci della serie dei Ritratti Grotteschi. L’immagine raffigura una donna piuttosto anziana, che indossa un vistoso copricapo a due corni, quasi demoniaco, ha un decolté scoperto da cui emergono seni strizzati da un corpetto, e un collo pieno di rughe. Il volto è altrettanto rugoso, gli occhi infossati, la distanza tra le labbra rattrappite e il naso le dà un aspetto quasi scimmiesco. Gli anelli alle mani, così come i preziosi tessuti che la vestono fanno ben intendere che si tratta di una persona di alto rango: una Duchessa brutta. Nella mano sinistra tiene un bocciolo di rosa ancora chiuso che sembra offrire a qualcuno.
Nella mostra la tela è stata affiancata da un altro ritratto di uomo anziano, Portrait of an old man, dello stesso autore, che fa un gesto di rifiuto, qui riferibile al fiore della duchessa. La “brutta vecchia” non solo si mostra con il seno in bella vista e si abbiglia alla moda nonostante l’età, ma porge all’amato un bocciolo che ancora deve fiorire, come simbolo di qualcosa di là da venire, da sbocciare. Massys, noto per essere un pittore che potremmo definire con Eugenio Battisti [2] antirinascimentale, realizza una pittura realista così schietta da apparire persino grottesca, ironica, e senza dubbio impietosa. Questa immagine della vecchiaia femminile manifesta in maniera spietata, ma anche limpida, lo stereotipo potente e ancora più che vivo, che la cultura occidentale, fin dalla sua origine in epoca greco-latina ha costruito sull’immagine della donna anziana. Il primo attributo essenziale è: la bruttezza. Per l’uomo invecchiare, se non in minima parte, non ha a che vedere con la perdita della bellezza, anzi addirittura può generare nuovo fascino, per la donna è sempre segno di decadenza fisica estrema, “rinsecchimento”, corpo che si disfa e si trasforma sempre in senso negativo.
Nel suo bel saggio De senectude [3], che ironicamente riprende l’omonimo saggio fondante sul tema di Cicerone [4], la filosofa Francesca Rigotti scrive: «Se la cultura mette in primo piano fecondità, procreazione, riproduzione, allora la donna divenuta sterile non è una donna, è una vecchia. Nel pensiero di Socrate, che rifletteva forse una pratica abituale degli antichi greci, la donna che ha attraversato la menopausa, non potendo più riprodursi, aiuterà le altre donne a farlo: diventerà levatrice o maia, come la madre del filosofo, Fenarete» [5]. Da qui il solo ruolo accettabile e socialmente rilevante per una donna anziana: la nonna. Non potendo in epoca moderna essere più la levatrice, il suo possibile compito è una sorta di surrogato del suo essere stata madre. Così la donna, divenuta produttivamente inutile, in un mondo produttivista e capitalismo, diviene ausilio alla produttività delle più giovani.
Susan Sontag nel suo saggio [6] sulla vecchiaia che affronta la radicale differenza tra “i due sessi”, scrive: «La vecchiaia è una vera e propria prova, che uomini e donne affrontano in modo simile. Invecchiare è soprattutto una prova dell’immaginazione, una malattia morale, una patologia sociale, che è intrinseca al fatto che affligge le donne molto più degli uomini. Sono soprattutto le donne a vivere l’invecchiamento (tutto ciò che precede l’età vera e propria) con tanto disgusto e persino con vergogna» [7]. Appare qui una parola chiave importante, che è una delle linee guida di questa call: la vergogna. La Sontag inizia in modo quasi scherzoso, citando poco prima la famosa storia di non chiedere l’età alle donne dopo “una certa età”. Una pratica “simpatica”, in cui tutte ci siamo imbattute senza attribuirle nessun particolare valore, ma che guarda caso, non riguarda gli uomini. La Sontag definisce l’età come lo “sporco segreto” delle donne. «Invecchiare è una ferita meno profonda per un uomo, perché oltre alla propaganda per la giovinezza che mette sulla difensiva uomini e donne quando invecchiano, c’è un doppio standard sull’invecchiamento che denuncia le donne con particolare severità. La società è molto più permissiva nei confronti dell’invecchiamento degli uomini, così come è più tollerante nei confronti delle infedeltà sessuali dei mariti. Agli uomini è “permesso” invecchiare, senza penalità, in diversi modi che alle donne non sono concessi. Questa società offre alle donne anche meno ricompense per l’invecchiamento rispetto agli uomini». La Sontag, così come la De Beauvoir nell’altro saggio
seminale sul tema L’âge de discrétion (La terza età) [8], mettono in campo un altro tabù che separa donne e uomini vecchi: un uomo anziano può avere relazioni, anche sessuali con donne anche molto più giovani, e anche “esteticamente” la cosa è accettabile o addirittura intrigante; una donna anziana con un giovane suscita riprovazione, disprezzo, persino schifo, e di nuovo vergogna, sia per lei che per il ragazzo che viene subito segnato da appellativi come Gigolò o Toy Boy.
Un altro tema, strettamente legato a questo, è la totale desessualizzazione della figura della donna in età avanzata. Basta pensare alle pubblicità di prodotti indirizzati agli uni o agli altri. Una miriade di pillole e simili per l’efficienza sessuale degli uomini anziani, mai un prodotto pubblicizzato per la secchezza vaginale, che non viene nemmeno menzionata come problema fisico. Nella geniale fiction Grace e Frankie, con Jane Fonda e Lilly Tomlin [9], le due protagoniste iniziano una serie di business che facilitano la loro attività sessuale di donne sopra i settant’anni, con esilaranti proposte di toy per autoerotismo, creme e altro. La fiction, che ha una trama complessa e molto interessante, per la prima volta mette in secondo piano la vecchiaia maschile, e porta in primo piano quella delle donne sole e degli uomini omosessuali. Un approccio molto interessante che parla a un pubblico molto vasto, e che sdogana finalmente la sessualità femminile in tarda età come una cosa gioiosa, totalmente autonoma dai modelli familiari etero, e anche piena di desiderio. E Grace vive una storia con un uomo ben più giovane di lei ironizzando in maniera cruda e radicale, proprio sulle sue paure di donna borghese di classe medio alta che, nonostante tutto, continua a impersonare involontariamente sul suo stesso corpo gli stereotipi sulla vecchiaia femminile, che però uno a uno destruttura e distrugge.
Il desiderio sessuale femminile è un altro elemento segnato dalla vergogna per le donne anziane, mentre resta una bandiera di virilità per gli uomini. La donna anziana non deve mostrare pulsione sessuale per due motivi: il primo che deve essere cosciente della sua inadeguatezza estetica per attrarre le pulsioni sessuali maschili; secondo perché il suo ruolo primario di madre, che attrae e soddisfa l’uomo per poter procreare, con la menopausa viene meno. Scrive ancora Francesca Rigotti: «In fondo il ritratto paradossale della vecchia, nonnina buona / strega perniciosa, è un’estensione della dicotomia vergine / puttana che per secoli ha afflitto l’universo femminile. In vecchiaia la vergine diventa una nonna rispettabile e senza sesso, mentre la prostituta – poiché la terza età è considerata priva di sessualità esprimibile – si trasforma in vecchia zitella, spinster, ovvero membro della categoria che riceve più disprezzo. […] La maggior parte delle figure malvagie e terrificanti della mitologia greca, comprese Empusa, Medusa, Scilla, Lamia, le Graie, le Parche e le Erinni sono vecchie zitelle, spinsters. […] Le figure mitologiche sopra citate sono invece vecchie zitelle che hanno rigettato il ruolo biologico di mogli e madri, o che sono state rifiutate come compagne di letto per la loro bruttezza, deformità, povertà o insocievolezza» [10].
Note
[1] Emma Capron, Ugly Duchess: Beauty and Satire in the Renaissance, Natl Gallery Pubns Ltd, London 2023.
[2] Eugenio Battisti, L’antirinascimento, Feltrinelli, Milano 1962.
[3] Francesca Rigotti, De Senectute, Einaudi, Torino 2018.
[4] Cicerone, De senectute, 44 a.C. Cicerone cancella letteralmente la vecchiaia femminile e usa un generico maschile che rispecchia solo la vecchiaia degli uomini: «Ciascuna parte della vita ha un suo proprio carattere, sì che la debolezza dei fanciulli, la baldanza dei giovani, la serietà dell’età virile e la maturità della vecchiezza portano un loro frutto naturale che va colto a suo tempo».
[5] Francesca Rigotti, op.cit., kindle ed, p. 102.
[6] Susan Sontag, The Double Standard of Aging, in «The Saturday Review», September 23, 1972, pp. 29-38.
[7] Ivi, p.32
[8] Simone de Beauvoir, L’âge de discrétion, Gallimard, Paris 1967.
[9] Grace and Frankie, scritta da Marta Kauffman e Howard J. Morris, andata in onda tra il 2015 e il 2022 su Netflix.
[10] Francesca Rigotti, op.cit., Kindle Ed., p. 698.