Chi ha paura dell’arte sequenziale? Forse nessuno, o forse l’iconoclastia che silenziosa ogni tanto riemerge, è un mostro sempre presente e che porta ancora molti a sospettare del fumetto. Tuttavia i numeri parlano chiaro, di fronte a una generale perdita di lettori, la nona arte si presenta agguerrita ed è l’unico settore ad avere un trend così positivo. Elio Vittorini su “Il Politecnico” fu tra i primi nei circoli intellettuali ad affrontare i fumetti come fatto esistente, e quindi da frequentare, ma Oreste del Buono e Umberto Eco [1] possono essere considerati in Italia i pionieri nella rivisitazione del fumetto come un fenomeno autonomo, interessante sia esteticamente che contenutisticamente. Eco nel suo storico saggio Apocalittici e integrati, in cui dà un ampio spazio al fumetto analizzandone diversi esempi in chiave semiologica, scrive: «Il fatto che il genere presenti caratteristiche stilistiche precise non esclude che esso possa essere in posizione parassitaria rispetto ad altri fenomeni artistici. D’altro canto, il fatto che si possano rilevare rapporti di parassitismo a certi livelli, non esclude che, ad altri, il genere si trovi invece in rapporto di promozione e precorrimento» [2].
Il termine Graphic Novel utilizzato per la prima volta nel 1964 dal critico Richard Kyle, recuperato negli anni ’70 anche dalla DC comics per definire una pubblicazione di Gothic Romance comic, divenne però termine evidente in Contratto con dio di Will Eisner. Eco era stato un buon profeta. La serializzazione di Maus di Art Spiegelman agli inizi degli anni ’80 mostrerà che è possibile rappresentare il trauma, malgrado Adorno. Si può quindi raccontare qualsiasi cosa.
Il graphic o come preferiscono alcuni anglosassoni, comic journalism deriva la sua possibilità in un certo senso in continuità con questa rottura: Joe Sacco con Palestina rompe un altro tabù. Il conflitto che deriva dalla grande colpa europea può diventare materia di un reportage disegnato. Entrambi i fenomeni hanno di fatto creato una sorta di nuova bolla di interesse giovanile, ma non solo, verso la possibilità di una nuova geografia, umana e naturale, disegnata del reale.
Vogliamo dedicare questo numero di roots§routes a quelle graphic novel o opere di graphic journalism che si interessano esplicitamente di fenomeni sociali rilevanti, che agiscono quindi in qualche modo come forme di “art-attivismo”. L’amplissima letteratura grafica su tutte le forme di “difficult heritage”, così come molti volumi divenuti strumenti formidabili di autonarrazioni di persone LGBTQIA+, costituiscono il pre-testo di questo numero.
Le graphic novel affrontano tematiche complesse come i razzismi e le questioni identitarie collettive e individuali, così come il graphic journalism sostituisce il reportage fotografico di guerra, diviene lo strumento di conoscenza per le violazioni dei diritti umani nel mondo, diventa azione diretta nella realtà.
L’immagine come strumento di comunicazione diretta e immediata, l’uso della parola più concisa e spesso in forma di racconto in prima persona da parte dei personaggi disegnati, l’impressione di trovarsi davanti a un fatto “reale”, ma con quella ri-mediazione comunque esplicitamente soggettiva che il disegno porta con sé, hanno di fatto generato un nuovo approccio ai “fatti del mondo”.
Il linguaggio sembra sempre simile ma non lo è, e mostra tutte le possibili declinazioni culturali, per cui un racconto prodotto in India, uno in Giappone, uno in Italia o negli USA, non hanno la stessa organizzazione formale ed estetica, usano la relazione parola/immagine/pagina in modo diverso, rivelando una libertà espressiva che fa di questo fenomeno uno dei più interessanti linguaggi della nostra contemporaneità. Dunque, nessuna trappola “universalista” che predica che il fumetto è di facile comprensione: piuttosto un’indagine su come “il disegno che non è ciò che guida fin dall’inizio il percorso di una vita, bensì ciò che tale vita si lascia dietro, senza poterlo mai prevedere e neanche immaginare”, per dirla con Adriana Cavarero.
Note
[1] Si consiglia per una conoscenza del lavoro di Eco sul fumetto questo articolo della rivista DoppioZero
[2] Eco U., Apocalittici e integrati, Bompiani, Bologna 1962, p.141