Tra le avenidas del lecorbusiano Lúcio Costa, a Brasilia, sfilano imponenti i carri armati. Come un’ombra scura, si allunga la dittatura militare sul Brasile della Quarta Repubblica. Tra chi assiste impietrito all’avanzata dei carri armati, chi fugge dai militari, chi viene catturato manifestando il proprio dissenso, il Brasile si riversa per un’ultima volta nelle strade della capitale e di Rio de Janeiro, assistendo all’ascesa dei Gorillas e di Humberto de Alencar Castelo Branco.
“Fugiu Goulart e a democracia está sendo restabelecida. Empossado Mazzilli na presidência.” [1]
Il presidente trabalhista João Goulart è costretto all’esilio in Uruguay. Dopo di lui, la lista di chi subisce l’oppressione del Comando Supremo de Revoluҫão e del governo di ARENA aumenta a perdita d’occhio, contando tra le sue fila intellettuali, dissidenti politici, civili e bambini che vengono rapiti, torturati, imprigionati nel Club Ypiranga di Macaé, nel Madre Pelletier di Porto Alegre e sulle navi a Santos e Corumbà [2].
DITADURA ASSASSINA. ABAIXO A DITADURA [3].
Mentre la furia dittatoriale assale il Brasile, tra il 31 marzo e il 1 aprile del 1964 i muri delle città gridano, divenendo cassa di risonanza di una società civile che verrà presto censurata e perseguita, costringendola all’atomizzazione e al sospetto continuo. “Con l’ausilio dei carri armati, al momento, è cambiato governo ed è già qualcosa. […] Per il resto, alla fine è sempre un problema di aspettative” [4]. Con queste immagini e sotto il vessillo dello slogan patriottico “Brasil ame-o ou deixe-o!” inizia il regime dei Gorillas e del partito conservatore ARENA (Aliança Renovadora Nacional), che rimane al potere fino alla prima metà degli anni ‘80.
quatro lados
meu quarto,
nesse quadrilátero
perfeitamente enquadrado
arquiteto, desenho
traço, apago, refaço
mil formas de asas
até o fim [5]
Dopo essersi dedicata all’incisione dando voce ai propri rapporti affettivi e alla ritualità domestica, in quegli anni l’artista italo-brasiliana Anna Maria Maiolino si avvicina ad ambienti artistici sperimentali e militanti: attraverso i manifesti di Nova Objectividade Brasileira con A Declaração de Princípios Básicos da Nova Vanguarda (aprile 1967) redatto da Hélio Oiticica e il saggio militante Do corpo á Terra (1970) di Frederico Morais, dal quale emerge per la prima volta il concetto di arte de guerrilha [6], la pratica di Maiolino inizia a misurare il contesto sociale e politico dell’epoca. È il caso dell’opera a inchiostro acrilico O Herói (1966) in cui Maiolino inizia a esporsi politicamente, dipingendo i militari del golpe con estrema ironia e sovvertendone l’immaginario eroico per com’era proclamato dalla stampa dell’epoca, ormai sottoposta al controllo e alla censura istituzionale [7].
Tra il 1968 e il 1971, seguendo l’allora marito Ruberns Gerchman, Maiolino lascia il Brasile trasferendosi a New York: “All’inizio mi sentivo a disagio, perché era come cercare di mangiare le briciole dal tavolo dei ricchi e in un Paese che sosteneva e armava le dittature nel nostro continente” (Sileo, 2019, p. 19). In un piccolo loft al 250 di Bowery Street, vicino al quartiere di SoHo, Maiolino ha modo di dialogare con le sperimentazioni intermediali, performative e concettuali di Fluxus, Vito Acconci, Robert Frank e Leroi Jones (meglio conosciuto come Amiri Baraka). L’artista inizia dunque a esplorare il potenziale espressivo della parola e del linguaggio nel tentativo di restituire corpo e spessore emotivo alle proprie esperienze quotidiane, componendo un diario successivamente edito da Hauser & Wirth nel 2019 con il titolo Entre Pausas. Tra le pagine composte in quegli anni, emerge un primo tentativo di sintesi tra le influenze del collettivo brasiliano di poesia concreta Noigandres e la sperimentazione ibrida di Fluxus, ricorrendo a plurilinguismo, onomaturgia, sperimentazione performativa, poetica e cacofonia per raccontare il profondo disagio, senso di estraniamento ed emarginazione vissuto nella gabbia dorata offerta dalla Grande Mela.
“Todos nos que vivemos nesta cidade, de certa forma no exílio estamos.
Sem green card, sem nada, sou mais uma ilegal no paraíso americano” [8]
Dopo il suo ritorno a São Paulo nel 1971, l’artista ricorre a un immaginario marcatamente minimalista, concettuale e a una profonda ironia, sconfinando in un terreno d’azione fino ad allora prettamente maschile [9]. Queste opere, sospese tra il ludico e l’azione militante, iniziano a riflettere profondamente sul contesto politico e sociale del Brasile contemporaneo, con l’intento di far emergere tutte quelle problematiche censurate e represse dalla propaganda istituzionale. Con l’obiettivo di salvaguardare sé stessa e la propria famiglia, le opere di Maiolino ricorrono a precisi escamotages che rendono allusivo il proprio posizionamento contro il regime e che camuffano le aspre critiche mosse al controllo dell’informazione operato da ARENA, alla stagnante povertà del Paese e alla sua profonda marginalizzazione sociale.
Il gioco e l’immaginario ludico permettono all’artista di immergersi nelle violente dinamiche dell’epoca, costruendo narrazioni volutamente apartitiche e dal taglio militante: nel fare questo, emerge una profonda continuità con le opere Eros e civiltà (1955) e L’uomo a una dimensione (1964) di Herbert Marcuse [10]. Senza meglio approfondire il proprio dissenso al sistema economico capitalista, Maiolino cerca di promuovere un nuovo processo di liberazione dell’individuo, tramite atti di resistenza trasformativi che si nutrano della quotidianità: al fine di sovvertire gli schemi e le strutture della violenza dittatoriale, la contemporaneità viene riletta sotto la prospettiva inedita del gioco e le sue polimorfiche pulsioni erotiche-vitali. Nascosta dietro un apparente stato di innocenza, Maiolino passa al setaccio azioni e slogan militari, sovvertendoli con pungente ironia, e istituendo realtà alternative di dissenso.
Parte di questo nuovo processo narrativo emerge nella serie Mapas Mentais (1971-76), nella quale Maiolino cerca di costruire realtà alternative che risolvano l’atomizzazione sociale e che intercettino la cultura persecutoria e del sospetto proposta da ARENA, dipingendo nuove geografie affettive, sociali e politiche. Appropriandosi di un immaginario ludico che fa riferimento a rompicapi logici e giochi di parole (fazer de conta come vengono definiti dall’artista, Tatay, 2011, p. 34), Maiolino cerca di suggerire specifiche associazioni politiche, sociali e culturali, che mettono in diretta relazione il personale e il politico. Attraverso la loro configurazione schematica e minimale, le tavole vogliono dipingere realtà politiche alternative, spazi democratici di azione individuale e collettiva nei quali potersi riappropriare di una perduta agency politica.
São Paulo poverty dictatorship BRASIL SOLITUDE pain anxiety
panic repression VACUUM illness DEATH LIFE despair [11]
Nell’opera Capitulo II della serie Mapas Mentais (1974), Maiolino non ripensa solo i confini esistenti tra sfera pubblica e privata, attraverso l’idea di territorialità e azione politica, ma affronta direttamente le problematiche emerse con l’ascesa del regime militare, cercando di coinvolgere emotivamente chi guarda. All’interno di una scacchiera concettuale che camuffa un’indagine discorsiva e ideologica, l’artista obbliga il pubblico a prendere posizione [12].
Dal periodo trascorso a New York, Anna Maria Maiolino modella la sua ricerca sulla materia, sul disegno, sulla parola e sull’espressione empirica dell’io; nelle sue opere, quest’ultimo si configura come un io-poetante che istituisce punti di contatto tra la sfera emotivo-privata dell’artista, il suo alter-ego poetico e la collettività a cui l’opera si riferisce. In tutte le sue forme possibili, il processo creativo di Maiolino si fonda sulla spontaneità e sull’innocenza del gioco, un’espressione ancestrale del fare in cui realtà infantile e adulta collidono, permettendo di guardare le urgenze sociali e politiche con occhi nuovi.
Attraverso la pratica del fare e la manualità, Maiolino propone processi di riscoperta del Sé, fondati sull’esplorazione tattile della materia e della forma, nonché su dinamiche educativo-imitative. Opponendosi alla produzione concettuale tout-court e alla progressiva sottrazione della materia dalla produzione artistica (Flynt, 1963), Maiolino cerca di recuperare un legame ancestrale con l’arte, che si nutre da un lato della tradizione rinascimentale italiana, e dall’altro di un know-how prettamente familiare e femminile (Adduci, 2023, pp. 95-107). Ricorrendo a una gestualità dal taglio rituale, al proprio corpo, al plurilinguismo e alla dimensione creativa accogliente e intima degli ambienti domestici, i suoi lavori divengono spazi di libera espressione ed esplorazione del sé, della propria identità culturale, dello propria agency politica e sociale, che permettono di sopperire alla scomparsa di una vera e propria agorà pubblica. Valicando la fittizia soglia esistente tra privato e pubblico e appropriandosi di un’azione intrusiva già propria del regime militare – mosso da continuo sospetto, controllo e auto-censura, lo spazio domestico permette all’artista di abitare una realtà atomizzata ma comune in cui, al riparo da occhi indiscreti, poter esprimere il proprio essere dissenso. È quanto emerge dal video Quaquaraquaqua [13] (1994-2004): realizzato con una macchina da presa portatile, l’artista ritrae la sua quotidianità offrendoci un ritratto indiretto e giocoso di sé che al contempo travalica i limiti dell’individualità, aprendosi a un orizzonte di senso ed espressione collettivo. Le canzoni a ritmo di samba di Elis Regina, famosa cantante brasiliana degli anni ’60-’70, scandiscono l’intero piano sequenza, creando momenti di interazione con con elementi ancestrali della cultura italiana: la componente musicale sublima dunque la dimensione del fare, artistico quanto domestico. Le immagini proposte da Maiolino indagano l’individualità in relazione a un patrimonio culturale collettivo ibrido ed esplorano le possibilità di azione individuali e collettive tra le mura domestiche.
Negli anni ’70-’80, la serie Fotopoemação (1973-presente) si immerge completamente all’interno delle dinamiche politiche dell’epoca attraverso il filtro offerto dall’ambiente domestico: nelle opere che compongono la serie, l’artista si muove all’interno di spazi confortevoli e familiari, quali la propria cucina o altre stanze private, cercando di incorporare le istanze violente che provengono dall’esterno. L’obiettivo di Maiolino è quindi quello di far emergere le contraddizioni e i cortocircuiti del regime al fine di valutare e misurare con il proprio corpo i margini di azione della democrazia (dal 1973 al 1976) e prefigurarsi un nuovo orizzonte sociale, basato su condivisione, empatia e simpatia (dal 1979 al 1982). Se nel secondo caso, l’artista torna anche ad abitare lo spazio pubblico per l’allentarsi della tensione politica presente nel Paese, nel primo Maiolino si muove esclusivamente all’interno di uno spazio domestico spesso reso ostile e angusto: in entrambi i casi, le opere della serie vogliono rappresentare un atto politico e sociale. Le opere di Maiolino trasformano la casa, dal suo essere spazio familiare e privato, in un baluardo resistenziale grazie alle opportunità offerte dal gioco, inteso come mascheramento (Os desaparecidos, 1979), atto performativo (De:Para ed É o que sobra, 1974 e Aos Poucos, 1976), gioco di ruolo (In-Out (Antropofagia), 1973) e momento di convivialità (Solitário ou Paciência e Por um Fio, 1976 e Arroz e Feijão, 1979).
L’opera video + – = – (Mas Menos Ugual Menos), realizzata nel 1976, esplora sotto inedite prospettive la dimensione della violenza, dando corpo a un profondo senso di frustrazione. Recuperando visioni e immagini del cinema muto delle origini, l’opera appare giocosamente sospesa tra lo sketch comico e il racconto simbolico-metalinguistico [14]. L’assenza del suono permette di enfatizzare l’apparato gestuale e corporeo dei performer, Paulo Heckenhoff e Bruno Tauz, immersi in un infantile “gioco di attacco e difesa” (Morais, 1976) metaforico, nel quale le uova che i due giocatori si lanciano in una sorta di flipper rudimentale rappresentano le vite umane schiacciate dalla politica militare. Nella sua dimensione simbolica, l’opera sottolinea dunque la mancanza di sinergie umane e di consorzio civile nella società del regime e il potenziale alienante e assuefante della violenza dittatoriale: + – = – (Mas Menos Ugual Menos) è la restituzione metaforica del rapporto esistente tra classe politica e cittadini, una parodizzazione che cerca di scardinare le logiche arbitrarie della politica militare.
In un momento in cui l’artista si dedica all’esclusiva esplorazione della realtà domestica come unica dimensione possibile di azione politica, l’opera performativa e relazionale Construção & Jogo (1973) prova ad abitare lo spazio pubblico e le relazioni sociali e umane dell’epoca. L’opera appare come una trasposizione performativa delle tavole realizzate per la serie Mapas Mentais (1971-1976): l’insieme delle relazioni proposte graficamente all’interno delle mappe è qui riproposta attraverso relazioni corporee e linguistiche effettive. L’opera propone non solo di misurare ma di abitare concretamente uno spazio politico negato, imponendo una sospensione dell’atomizzazione sociale: nel tentativo di sanare relazioni ormai corrose e perdute, Construção & Jogo propone degli innesti fisici quanto emotivi di messa in relazione con l’altro e con lo spazio, che impongono un vero e proprio posizionamento di chi guarda e partecipa all’opera. Se in Construção & Jogo i partecipanti interagiscono tra loro attraverso dei veli, che permettono loro anche di mappare i confini effettivi della propria agency politica all’interno dello spazio pubblico, nel 1979 in occasione dell’azione artistica e politica Mitos vadios, organizzata da Hélio Oiticica e Ivald Granato in Rua Augusta a São Paulo, l’artista offre all’attenzione del proprio pubblico altre categorie di oggetti, profondamente legati alla quotidianità, da cui poter stimolare nuove riflessioni sulla condizione sociale del Paese.
Due sacchi, riso e fagioli. Due corpi, abbracciati come bambini in mezzo alla strada impolverata di Rua Augusta. Due corpi che ritraggono la povertà dilagante nella società brasiliana: un legame indissolubile sancito da un nastro nero, funereo che racchiude tutta la sofferenza censurata dalla narrazione istituzionale. Siamo piegati dai crampi, ripiegati nel nostro silenzio. Nascosti dietro lo stomaco che urla.
Appese al muro, come un’effige, sei rotoli di carta igienica, fogli di giornale, foglie. Antropofagia. I processi digestivi ci riportano ai corpi. Bocca, stomaco, escrementi. Monumento à Fome.
Mitos vadios riflette in termini antropologici e culturali su mitos e magias, sulla cosmologia simbolica alla base dei rapporti umani: in quest’occasione, Maiolino propone le opere installativo-performative Monumento à Fome e Estado escatológico, denunciando l’insostenibile e destabilizzante divario sociale che animano il Brasile contemporaneo. Appellandosi alla volgarità e all’irriverenza come strumenti politici, Maiolino pretende di occupare lo spazio, di posizionarsi politicamente, rivendicando la necessità di fronteggiare le urgenze sociali e culturali del Paese. Urgenze che implicano la responsabilità di tutti. Le opere aprono uno spiraglio drammatico e carnevalesco, riattualizzando la cultura antropofagica carioca (De Andrade, 1928) in una realtà alternativa: un ritratto in negativo, silenziato dalla narrazione mediatica e istituzionale dell’epoca. “Anna Viera Luz que vive de lavar roupas. Manoel da Costa Taís criolo que vive da arte da pintura. Ana Teodora de Castro parda que trabalha na Companhia de Misericórdia. Francisco da Silva Maciel que vive de sua arte de música. Que ainda está viva? Aqui ainda vive, não diga, jamais” [15]. Le installazioni presentate per Mitos vadios riattualizzano il contenuto di un precedente lavoro di Maiolino, la video performance Y realizzata nel 1974: nel monologo conclusivo, l’artista restituisce pragmaticamente l’immagine della precarietà economico-sociale del Brasile contemporaneo; con il medesimo intento e appellandosi a elementi poetico-simbolici (riso, fagioli e carta igienica), le installazioni del 1979 propongono un nuovo dialogo con la materia, gli oggetti e la quotidianità. Abitare lo spazio pubblico permette in questo caso all’artista di sospendere lo stato di incredulità e di indifferenza proposto dalla narrazione mediatica e dalla censura.
Nel 1981, sottraendosi all’ambiente domestico, Maiolino realizza la performance Entrevidas in Rua Cardoso a São Paolo, parte della serie Fotopoemação. Ricorrendo nuovamente all’immagine metaforica delle uova – entità simbolica sospesa tra la vita e la morte, Maiolino riflette sulla violenza perpetrata dal regime militare: l’artista invita il suo pubblico a muoversi con cautela, bendato e scalzo, in un percorso disseminato da uova fecondate nel tentativo di non calpestarle. Se da un lato la performance di Maiolino vuole riflettere sulla banalità della violenza, dall’altro esplora in termini collettivi la dimensione della cura e della fiducia. Entrevidas abita la strada e lo spazio pubblico, istituendo spazi di confronto alternativi, denunciando la violenza del proprio tempo e sottolineando la precarietà e il fragile equilibrio socio-politico della distenção: “Era come camminare su gusci d’uova, in punta di piedi” (Block, 2002, p. 352).
Se le performances-for-camera (Sneed, 2019) interpretate all’interno degli ambienti domestici riflettevano sull’attualità politica attraverso un’incorporazione della violenza e delle sue logiche al fine di poterle ribaltare dall’interno istituendo spiragli e alternative, le performance realizzate nello spazio pubblico intentano un processo rieducativo che intercetta la collettività e non più il singolo nel suo desiderio di condivisione.
Nelle mani di Maiolino, l’innocenza e la spontaneità del gioco diventano strumenti di narrazione militante, nei quali concentrare diverse tradizioni culturali, dimensioni immaginifiche e azioni politiche di dissenso. Nella sua irriverenza e apparente innocenza, il gioco permette di riabilitare l’agency politica e desiderativa dell’individuo e della comunità, ribaltando schemi e dinamiche precostituite attraverso un atteggiamento sovversivo dal sapore carnevalesco: un camouflage che salvaguarda, nella sua forma, il contenuto di un’intensa produzione artistica. Seppur l’artista abbia risemantizzato il camuffamento bellico come pratica di dissenso militante, le opere realizzate da Maiolino durante i vent’anni di governo militare non hanno avuto una grande fortuna critica ed espositiva nel Brasile dell’epoca: è solo nel 1976 che, in occasione della propria personale Aos Poucos… da Petite Galerie a Rio de Janeiro, l’artista espone pubblicamente molte delle sue opere politiche. La mostra, recensita su «O Globo» (LI, n. 15530) il 14 aprile del 1976 con l’articolo A arte nos caminhos e descaminhos da vida del critico militante Frederico Morais, viene presentata attraverso un’acuta giustapposizione di dettagli iconografici e narrativi, evocazioni che si allineano al desiderio di camuffamento delle opere di Maiolino e che cercano di coinvolgere i lettori aprendo nuovi spiragli di riflessione [16].
Ricorrendo a una spontaneità infantile e a un’inedita attitudine ludica, Maiolino cerca dunque di riattribuire potere all’immaginazione e di ricostruire la comunità, instaurando legami affettivi e linguistici che pongano al centro il corpo e che mettano in dialogo i desideri dell’individuo con la collettività, e componendo realtà di discussione alternative in cui poter esprimere il proprio potenziale politico e decisionale.
Note
[1] Estratto dalla prima pagina del quotidiano «O Globo», XXXIX, n. 11525, 2 aprile 1964.
[2] Durante il regime dei Gorillas, le persone incarcerate venivano deportate negli stadi o sulle navi, trasformandole dal loro uso originario in prigioni collettive (Cesar e Cavassa, 2019).
[3] Scritte apparse sui muri di Brasilia e Rio de Janeiro dall’aprile del 1964 come manifestazione del dissenso contro il golpe e la dittatura dei militari.
[4] Dichiarazioni del presidente ad interim Pascoal Ranieri Mazzilli estratta dai Cinegiornali d’Attualità, obiettivo 113, anno 1964, Cineteca del Veneto.
[5] “quattro lati / la mia stanza, / in questo quadrilatero / perfettamente incorniciato / architetto, disegno / traccio, cancello, ripeto / ali dalle mille forme / fino alla fine” (T.d.A.). (Maiolino, 1976)
[6] Strategia di dissenso artistico militante evidente nella produzione di molti artisti concettuali (Cildo Meireles, Antônio Manuel e Artur Bairro) o collettivi artistici (Saltão da Bússola (1969), Do corpo à terra (1970), Domingos de criação (1971)). Successivamente ad arte de guerrilha si affiancherà il sinonimo contra-arte.
[7] In O Herói (1966), il militare pluridecorato è ritratto come un teschio, simbolo di vanitas e della violenza perpetrata dai regimi totalitari del XX secolo. Rifacendosi allo stesso immaginario, l’artista realizzò Alta Tensão: Domingo de Bandinha e Bandeiras (1968) per contestare la promulgazione del provvedimento istituzionale AI-5: l’opera fu esposta in occasione dell’evento di protesta organizzato da Flávio Motta e Nelson Leirner a Rio de Janeiro, in Praça General Osório nel quartiere Ipanema. L’opera si ispira ai Targets di Jasper Jones (1955) e ai manifesti sovversivi daziboas.
[8] “Tutti noi che viviamo in questa città siamo, in un certo senso, in esilio. Senza green card, senza nulla, sono solo un altro clandestino in un paradiso americano” (T.d.A). Ibidem
[9] Sulla presenza femminile all’interno del sistema artistico minimale e concettuale, americano quanto brasiliano, Gillian Sneed afferma: “In fact, women were hiding in plain sight. Their presence in New York and their contributions to Conceptual art—in the U.S. and Brazil—involved the ways they contended with gender in order to reveal the hybridity and fluidity of identity construction, troubling the version of Brasilidade (Brazilian identity) put forth by the article. […] Nevertheless, their presence and contributions were largely obscured by their doubled minority status as ‘Latin American immigrants’ and women” (Sneed, 2019).
[10] Nell’Italia degli anni ’60-’70, la ricerca artistica-militante si lega alle riflessioni di Herbert Marcuse sotto il motto “l’immaginazione al potere” come nel caso di Bruno Munari, Ugo La Pieta, Sarenco, Giuliano Mauri, Franco Mazzucchelli e Gordon Matta-Clark.
[11] Estratti dall’opera Capitulo II, dalla serie Mapas Mentais, 1974, inchiostro e trasferibili su carta, 51 x 51 cm.
[12] Le opere della serie Mapas Mentais, veri e propri poemi-oggetto, si muovono tra simultaneità e materializzazione del pensiero, cercando dei punti di incontro tra poesia e arte plastica e muovendosi sul crinale esistente tra visuale e verbale, tra poetico e pittorico, tra parola e immagine, tra libro e spazio, tra arte e non-arte.
[13] Il titolo dell’opera Quaquaraquaqua riprende, da un lato, il titolo della canzone brasiliana di Elis Regina che si sente in sottofondo e, dall’altro, il termine fonosillabico siciliano – in uso corrente anche nella lingua italiana – diffusosi a seguito della pubblicazione del romanzo di Leonardo Sciascia Il giorno della civetta (1961) e che indica sia il verso dell’anatra o della quaglia che un chiacchierone.
[14] Sin dai titoli di testa, + – = – (Mas Menos Ugual Menos) rimarca un immaginario infantile, presentandoli come esercizi di scrittura elementare. Tra i riferimenti cinematografici di + – = – (Mas Menos Ugual Menos) emerge in particolare Entr’acte (1924) di René Clair.
[15] Estratti dall’opera Y, dalla serie Fotopoemação, 1974, super-8, 2’23’’
[16] Ricorrendo a un’immaginario quotidiano, Morais infatti afferma: “Ciò che risaltano, a volte in modo aggressivo, ma pur sempre con immagini molto belle dal punto di vista plastico, sono la geografia del corpo, l’occhio ora sotto minaccia delle forbici, il movimento dentro/fuori, maschile/femminile della bocca che esplode di rosso e giallo in faccia allo spettatore, la valle tesa dell’uovo nel più e meno della vita-uguale-zero. L’uovo sospeso tra attacco e difesa rischia sempre di distruggersi tra le mani del difensore. L’immagine del Duce in TV” [T.d.A]. (Morais, 1976)
Bibliografia
Fonti documentarie
Estudio-arquivo de Anna Maria Maiolino:
fasc. Escritos
fasc. Desenhos preparatórios
fasc. Fotografias
Libri d’artista
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Maiolino A.M., Anna Maria Maiolino. Eu sou Eu, documenta (13), Hatje Cantz, Kassel, 2012
Tesi
Adduci E., Anna Maria Maiolino: oltre il femminismo. La serie Fotopoemação negli anni ’70-’80, tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Milano, rel. P. Rusconi, G. Zanchetti, 2023
Sneed G., Gender Subjectivity and Resistance: Brazilian Women’s Performance-for-Camera, 1973-1982, tesi di dottorato, City University of New York, rel. A. Indych-López, 2019
Articoli di periodici, quotidiani e riviste
Cesar J., Cavassa C., Documento inedito mostra que número de presso nos primeiros dias do golpe militar de 64 pode ser quatro vezes maior, in «Intercept Brasil», 30 marzo 2019 [online] (ultimo accesso: 20 novembre 2024)
Morais F., Anna Maria Maiolino. Um Ponto Divaga no Universo, in «Diário de Notícias», 6 aprile 1973, Rio de Janeiro, 1973 p. 13
Morais F., A arte nos caminhos e descaminhos da vida, in «O Globo», LI, n. 15530, 1976, p. 36
Pontual R., Espaços emergentes, in «Jornal do Brasil», LXXXIX, n. 17, 1979, p. 33
Interviste
Block H., Conversation with Anna Maria Maiolino, in De Zegher C. (a c. di), Anna Maria Maiolino. Vida Afora / Life Line, The Drawing Center, New York, 2002
Sileo D. (a c. di), Anna Maria Maiolino. O AMOR SE FAZ REVOLUCIONÁRIO, catalogo della mostra (Milano, 23 marzo – 9 giugno 2019), Silvana Editore, Milano, 2019
Tatay H. (a c. di), Anna Maria Maiolino, catalogo della mostra (Barcelona, 15 ottobre 2010 – 16 gennaio 2011), Fundació Antoni Tàpies, Barcelona, 2011
Saggistica e cataloghi
Baudrillard J., Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1996
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Flynt H. A. Jr., Concept Art. Essay, in Young L. M. e Mac Low J. (a c. di), An anthology of chance operations, New York, 1963
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Eva Adduci (Magenta, 1998) è storica dell’arte e curatrice indipendente di base tra Milano e Londra. Ha frequentato CAMPO, il corso in Studi e Pratiche Curatoriali di Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Si è laureata a pieni voti in Storia e Critica dell’Arte all’Università degli Studi di Milano. La sua ricerca curatoriale esplora le modalità con le quali memoria privata e collettiva interagiscono all’interno dello spazio pubblico. Ha precedentemente lavorato come curatrice per BeAdvisors Art Department (Londra – Milano) e come gallery manager presso Boccanera Gallery e Galleria Doris Ghetta. È stata parte del collettivo curatoriale co_atto, Stazione Ferroviaria di Porta Garibaldi, Milano.