§Adolescenze
Adolescenti e teatro: un altro modo per immaginare il mondo
di Federica Zanetti
  1. Superare le categorie per riconoscere la pluralità e mettersi in ascolto

Anche se inascoltato, il mondo degli adolescenti ci parla, si esprime cercando linguaggi, spazi reali e virtuali di aggregazione, tra la divulgazione online e l’attivismo nelle piazze. Racchiusa dentro a definizioni, spesso inscalfibili, l’adolescenza viene riconosciuta come categoria sociale che identifica un problema, misconoscendo poi i reali bisogni dei giovani. L’opinione pubblica è influenzata da una comunicazione mediatica che spesso li ritrae in modo negativo, concentrandosi su aspetti problematici ed enfatizzando stereotipi come l’irresponsabilità, la superficialità, l’egoismo o le dipendenze. Si perde così quella consapevolezza che lega le sue dimensioni più profonde al riflesso di una realtà complessa e di una molteplicità di sistemi di riferimento che la rendono una fase multidimensionale che non si può ridurre ad una definizione universale o ad una categorizzazione unica. «Questa identità mutevole, plurima o misteriosa a loro stessi», dice Laffi, «non c’entra con quella che vediamo, né tantomeno con quella che vorremmo vedere, quando sovrascriviamo a figli o studenti il modello di figlio o studente che attendiamo al varco, negli atteggiamenti a casa o nelle verifiche a scuola. Ragazze e ragazzi sono iper consapevoli delle maschere sociali, patiscono le attese dei genitori e i propri sensi di inadeguatezza, così come sanno benissimo che nei social network e nelle relazioni fra pari si forzano le identità e si mettono in scena rappresentazioni artefatte di sé che loro stessi non reggono più» (Laffi, 2016).

Le trasformazioni sociali ed economiche in atto hanno modificato e frammentato bisogni, hanno reso inadeguati i modelli di cura, hanno fatto emergere fenomeni di crescente emarginazione, disuguaglianze e vulnerabilità, di defuturizzazione, di disalleanze tra le agenzie educative: uno scenario in cui si parla degli individui adolescenti senza ascoltarli, si incatenano a categorie senza lasciare loro parola, schiacciati dal peso di definizioni che non li rappresentano.
Federico Taddia cerca, con ironia, di irrompere in quelle stigmatizzazioni, provando a farci salire, almeno un attimo, in quella “vorticosa giostra che è l’adolescenza”: «Quelli che ti piantano il muso. E un attimo dopo ti coccolano. Quelli che entrando in casa ti ignorano. E quando meno te l’aspetti ti saltano in braccio. Quelli che per far uscire una parola di bocca li devi implorare ma poi ti intasano WhatsApp di messaggi vocali. Quelli che ‘ma che ne sai tu di quello che penso?’ e poi, nel bel mezzo di una silenziosa cena, ti interrogano sul perché della vita. Quelli che quando pensi di averci capito qualcosa ti spiazzano, a volte nel bene e a volte nel male, costringendoti a ripartire da zero. Senza certezze e carichi di dubbi. Benvenuti in quella vorticosa giostra che è l’adolescenza, la terra di mezzo della crescita, il campo di gioco tra genitori e figli dove le regole sono le più cangianti e inafferrabili, oggetto quotidiano di trattativa» (Taddia, 2017).

Le ricerche scientifiche cercano di fornire alcune chiavi di lettura per comprendere fenomeni che altrimenti sarebbero lasciati alla cultura mainstream sugli adolescenti, ma quante di queste riflessioni diventano possibilità di sviluppare pratiche ed esperienze? A giugno 2023 Con i Bambini  e l’Istituto Demopolis hanno presentato una doppia indagine sul punto di vista degli adolescenti e su quello degli adulti, con l’ascolto diretto di ragazze e ragazzi tra 14 e 17 anni e con interviste a genitori, insegnanti ed educatori [1]

Emergono alcuni punti fermi che fanno della famiglia e dell’amicizia le cose più importanti, pari al 90 e all’86%, nella vita degli adolescenti, ragazze e ragazzi. Si ritengono però più soddisfatti del rapporto con gli amici che degli affetti e delle relazioni in famiglia (il 64% rispetto al 52%). Il 65% non è soddisfatto della propria vita scolastica. Le idee e i pensieri vengono condivisi con gli amici in presenza, per un 79%, e con i genitori solo per un 40%. Gli insegnanti rappresentano un piccolo 4%. C’è la convinzione di non essere capiti e il timore del giudizio altrui nel non volerli condividere. Agli adulti (in famiglia, a scuola e nel tempo libero) si rimprovera il fatto di non mettersi mai in discussione e di pensare di avere ragione solo loro (38%), i continui paragoni con i tempi passati (37%), la troppa importanza data ai voti scolastici (33%). Circa la metà degli intervistati tra i ragazzi e le ragazze pensano che gli adulti li capiscano sempre meno. 

Gli sguardi del mondo adulto si intrecciano con quelli degli adolescenti ed è proprio su questo dato che le due generazioni pressoché concordano: “gli adulti non capiscono i ragazzi” è l’affermazione che emerge dalle dichiarazioni del 54% degli adolescenti e del 45% dei genitori.
Gli adulti però hanno meno consapevolezza di quanto i ragazzi e le ragazze non si sentano compresi nei sentimenti, nelle passioni e nei desideri. A fronte del loro rimprovero sull’incapacità di mettersi in discussione (il 38% degli adolescenti), solo il 12% degli adulti riesce ad ammetterlo e il 30% riconosce di essere preoccupato per le difficoltà di comunicazione e di dialogo.
Pensando alla quotidianità e al futuro di bambini e ragazzi, prevale la paura (69%), che si esprime nell’incertezza lavorativa e nella difficoltà a scegliere il percorso di studio e professionale. Sono preoccupati per il futuro, ma sembrano meno capaci di comprendere l’oggi.
Agli adolescenti invece è chiaro quanto si pensi al loro futuro e apprezzano le premure del mondo adulto in quest’ottica (52%), cercando di guardare al futuro mantenendo un certo ottimismo (53%).

La ricerca mette in evidenza, ancora, come «lo sguardo sugli adolescenti da parte degli italiani (e ancor di più dei genitori con figli under 18) sia minato da molteplici ansie. Per esperienze familiari o di contesto, gli intervistati individuano effetti preoccupanti sulla salute di bambini e ragazzi delle restrizioni subite nel periodo pandemico: la dipendenza da internet (65%) e l’aumento dell’ansia fra i minori (62%); la metà cita inoltre l’incremento dei casi di depressione. […] In questo contesto, appena 3 su 10 ritengono che gli adulti abbiano oggi strumenti adeguati ad affrontare il disagio giovanile. E ciò che servirebbe oggi per limitare il malessere o le problematiche socio-psicologiche dell’adolescenza è, nell’opinione del 53%, dare più ascolto ai ragazzi: maggiore comprensione da parte degli adulti (genitori, insegnanti, educatori)» [2].

Aumentano le preoccupazioni, ma anche il senso di inadeguatezza nei confronti delle difficoltà e del disagio dei ragazzi e delle ragazze. La stessa percentuale, quasi la metà degli adulti intervistati, vede, però, nell’incremento delle occasioni di socializzazione, con attività ludiche, culturali e sportive, la possibilità di contrastare e prevenire questo malessere.
Anche la ricerca “Tra presente e futuro. Essere adolescenti in Emilia-Romagna nel 2022” [3], che ha coinvolto oltre 15mila adolescenti delle scuole secondarie di I e II grado, ci aiuta a metterci in ascolto senza avere paura delle loro opinioni e della nostra inadeguatezza, mettendo da parte le categorie negative, omologanti, banali che tendono a chiudere nella gabbia “il problema”. Qui trovano spazio di espressione, ancora una volta, le emozioni positive e negative provate a scuola, in famiglia e con gli amici. È il tempo passato con loro che è fonte di gioia (59,2%). La famiglia è il luogo della fiducia, per il 45,9% dei ragazzi e delle ragazze. L’ansia, indicata dal 77,4% del campione, seguita da noia (55,9%) e insicurezza (48,9%) sono invece le emozioni vissute nel contesto scolastico che ci devono far capire che questo dolore, questa sofferenza è la conseguenza della consapevolezza di non sentirsi parte di un percorso in cui essere più protagonisti, non è la causa. 

«Ogni adolescente», si legge nel rapporto, «ha diritto ad avere davanti a sé qualcosa che lo attragga, che lo possa stimolare verso un impegno e un investimento per un progetto di vita personale e professionale. Quando i giovani appaiono agli occhi degli adulti come svogliati, rassegnati, apatici, troppo legati al nido garantito dal nucleo familiare, è necessario, a fronte della consapevolezza che mostrano nelle risposte date in questa ricerca come in quelle più recenti, capire che non si tratta di una sorta di disagio psicologico ma di una reale difficoltà di tipo strutturale e culturale» (Tassinari, Paladino, 2022, p. 71).
È una sfida comunitaria, che richiede interventi di prossimità, sempre più integrati e sistemici, una cura responsabile di tutta la comunità educante che possa restituire un protagonismo degli adolescenti non concesso, ma riconosciuto, negli spazi di libertà conquistati, vissuti e abitati, quelli delle città e dei territori, quelli del digitale, delle arti e dell’espressione, quelli delle proteste e delle ribellioni, ma anche delle rivoluzioni gentili.

 

2. Una trilogia teatrale tra educazione, città e sogni di futuro

Gli adolescenti rischiano di prendere forma dalle nostre definizioni. Si parla tanto di adolescenza, tantissimo, ma si ascolta poco, in un reale confronto sul mondo. Gli adulti accolgono con difficoltà le proteste, anche quelle che racchiudono sogni di futuro; hanno tanta preoccupazione per la sofferenza e le ansie crescenti ma si sentono di non avere strumenti per affrontarle; ascoltano ma aspettandosi parole e immaginari che aderiscano a quello che vorrebbero sentirsi dire, senza comprendere, senza dimostrare interesse per gli adolescenti, figli, studenti e studentesse che hanno davanti, per quello che sono e per i loro interessi. Scrivo “comprendere” come afferma Lancini: «dal latino cum, ‘con, insieme’ e prehendere, ‘prendere’. Comprendere va al di là del concetto di ‘capire’: significa contenere, abbracciare, includere, afferrare, penetrare con la mente. Quello che dovremmo fare […] è raggiungere l’adolescente là dov’è» (Lancini, 2023).
«La riscossa degli adulti fragili», sostiene sempre Lancini, «transita dalla capacità di porsi e porre domande giuste, di cercare di comprendere chi è quella persona che abbiamo di fronte a noi, bambino o adolescente che sia, di interessarsi a come definisce lei il suo comportamento e non di impegnarsi esclusivamente a descriverlo» (ivi). Sapersi ascoltare diventa allora per gli adolescenti una possibilità di pensare al futuro insieme, di immaginare futuri possibili provando a scegliere chi essere oggi, di trovare spazi per le domande che si interrogano su che cosa vorrebbero essere da grandi, che cosa ci fanno qui e su come desiderano il mondo.

In questo periodo di crisi sociale e culturale, attivare processi per costruire nuovi immaginari, processi creativi esercitati e praticati nei contesti più fragili, vuol dire valorizzare un capitale sociale fatto di riconoscimento della collettività, di appartenenze, di beni comuni. Le pratiche teatrali e i linguaggi artistici si uniscono ai processi educativi, alla costruzione di cittadinanze, aprendosi come possibilità di partecipazione culturale attiva, come esempi di esperienze insostituibili per la crescita e la formazione degli adolescenti nel complesso percorso di sviluppo che intreccia la percezione di sé con la relazione con l’altro, lo spazio privato con lo spazio sociale, i saperi con le emozioni.
In questa prospettiva si ampliano ambiti e strategie di formazione, produzione e innovazione che diversi artisti e realtà teatrali stanno sviluppando, cercando di conquistare un nuovo spazio in un immaginario omologato e strumentalizzato; approfondendo percorsi di ricerca estetica ed artistica che non portano alla semplificazione, ma all’apertura di possibilità con cui l’adolescenza può iniziare ad esplorare il mondo; attivando processi creativi in cui il pubblico, a partire da quello più giovane, non fruisce passivamente, ma ne fa parte.

Sono progettualità che restituiscono un tempo di partecipazione attiva, un luogo di incontro e di dialogo, una modalità di aprirsi a sé stessi e all’immaginario dell’altro, un fare esperienza del mondo in modo collettivo, un riconoscimento dei ragazzi e delle ragazze nello spazio pubblico. Diventa un terreno ibrido e meticcio, all’interno del quale teatro ed educazione ricercano nuovi campi di indagine, nuovi incontri e nuove e più stabili alleanze tra infanzia, famiglie, artisti ed insegnanti e comunità di cittadini e cittadine. C’è chi da quasi trent’anni cerca, attraverso gli strumenti del teatro, di praticare questa utopia, con i ragazzi e le ragazze, fuori e dentro le scuole: gioca con loro, li ascolta, li osserva, li vede, li prende sul serio, crea legami con l’esistenza senza fare finta, ma creando spazi di cura in cui trovare le parole che non si riescono a dire. Spazi che si lasciano attraversare dall’«energia potentissima dei ragazzi, la loro voglia di rompere gli schemi, l’ansia si proiettarsi verso il futuro, pur con tutte le paure che questo comporta, uscire dalla loro condizioni di ragazzi, cioè di subalternità alla società degli adulti, percepita sempre come troppo chiusa, troppo rigida, troppo istituzionale, per andare verso il mondo e abitarlo in lungo e in largo con i propri sogni e le proprie speranze. Non è qualcosa che riesca a dire con parole meno generiche di queste, ma il termine energia (il greco energheia significa ‘forza in azione’ credo possa rendere bene l’idea» (Teatro dell’Argine, 2018, p.7). Queste sono le parole di Nicola Bonazzi, uno dei registi della Compagnia del Teatro dell’Argine di San Lazzaro di Savena della città metropolitana di Bologna ed è da questi presupposti che è nato il progetto Futuri Maestri [4]: dal 2015 al 2017 le maggiori istituzioni culturali cittadine hanno aperto le porte e hanno lavorato insieme a decine e decine di classi della città, della regione, a scuole di ogni ordine e grado.  È stato chiesto a migliaia di allievi e allieve cosa pensano del mondo in cui vivono e come vorrebbero cambiarlo. Hanno chiesto loro cosa li indigna e cosa li attrae, cosa li spaventa e cosa li emoziona e per cosa sono disposti al sacrificio, a partire da 5 potenti e immense parole-chiave: amore, guerra, lavoro, crisi, migrazione. Da decine di percorsi laboratoriali è stato scritto un copione, che ha il valore di una lettera d’amore così come di un atto di accusa, portato in scena per nove sere di spettacolo, con mille protagonisti dai 3 ai 18 anni, su un palco che è diventato città, tribunale, parlamento, anfiteatro, piazza.

«Noi veniamo dalla tenerezza.
Veniamo dal turbamento.
Veniamo dagli antri infuocati della vita
dove si dà forma ai sogni.
Veniamo dal disinganno e dall’amarezza,
ma non dalla desolazione.
Veniamo piuttosto dalla rivoluzione.
Abbiamo aria nei polmoni, fiamme nel cuore
e terra sotto i piedi da correre senza fermarci.
Abbiamo macinato pensieri come si camminano le strade.
E se siamo arrivati fin qui è perché adesso vogliamo parlare» (Teatro dell’Argine, 2018, p.19).

Da queste mille voci nasce lo spettacolo che racconta la storia di un gruppo di viaggiatori che partono alla ricerca di una nuova città in cui poter stare e nella quale trovare finalmente l’antidoto contro la malattia delle arterie fangose, la peste che pervade la città dalla quale fuggono.

«Voi che ci dite: State dritti con la schiena, non buttatevi come sacchi sul divano, ai nostri tempi noi, noi…mica come voi e vi sentite come parlate? Certo che ci sentiamo. E voi ci sentite? E allora sentite qua. Tanto vale per noi lasciare questo luogo di macerie e trovare da noi la nostra strada prima che ci si infanghi il sistema circolatorio» (Ivi, p.23-24)

Ma lo dicono proprio loro che la peste si combatte con la peste e allora bisognerà cercare qualcosa in grado di appestare il mondo non di stanchezza e indifferenza, ma di vita, e nel quale sarà possibile godere della forza della possibilità. Seguendo la circolarità della rappresentazione i viaggiatori che partono dal teatro, nel quale in un primo momento si trovano spaesati, ci faranno poi ritorno perché l’antidoto lo troveranno proprio lì dentro, nel teatro, nella cultura, nell’arte.

Spettacolo “Futuri Maestri”. Foto di Luciano Paselli.

La sfida principale è stata proprio quella di attivare percorsi di bellezza partecipata, facendo convivere, confondere, intrecciare teatro, cittadinanze, poesia, spettatori e spettatrici, e chi ancora non lo è, in un unico grande processo creativo. Si riconosce il tentativo di accettare la complessità del nostro tempo e la portata anche del dolore che genera provando a riempirli di nuovi significati. La progettazione che sta alla base di questa visionarietà è un processo dialogico con la realtà, che porta ad immaginare qualcosa che ancora non c’è e che potrebbe essere fatto.

Questo stesso principio guida il progetto che prende vita nel 2019 e che si trova ad affrontare tutti gli stravolgimenti della pandemia. Ma “Politico Poetico” [5] non si è fermato e il teatro, come luogo della visione e della relazione, ha cercato nuove modalità di partecipazione per più di 500 protagonisti, dai 14 ai 19 anni che, a partire dall’Agenda 2030, si sono confrontati su temi centrali come ambiente, lavoro ed economia, disuguaglianze, città e comunità, pace e giustizia. Dopo laboratori, conferenze, serate pubbliche, incontri sui temi dell’Agenda, il “Parlamento” di Politico Poetico ha avuto palchi reali e virtuali per poter raccontare la propria proposta di futuro: proposte concrete su viabilità, cura dei beni comuni, parità dei diritti, trasporti, economia circolare, consumo etico, accoglienza, energie rinnovabili, lotta alle disuguaglianze, ecologia e su decine di altri temi ritenuti prioritari dagli studenti e dalle studentesse per costruire una città più sostenibile, equa e inclusiva. Nei mesi di lavoro svolto in classe e in DAD sono stati scritti più di 400 progetti e 300 monologhi raccontati in video e raccolti sul sito del progetto.

Un laboratorio nelle scuole. Foto di Davide Saccà.

Nel mese di maggio del 2021, in una domenica di sole, finalmente Piazza Maggiore, a Bologna, si riempie di cento cassette di legno: una piazza e tanti palchi per ascoltare gli adolescenti che vogliono farsi sentire e un palcoscenico per dar voce a chi non ne ha. Si sancisce un’alleanza tra teatro, adolescenti e città proprio in quell’atto del “Parlamento” di prendere parola, di proporre azioni e raccomandazioni ai cittadini e alle cittadine, alle istituzioni locali, a chi decide e pianifica politiche e strategie, a chi si sente coinvolto in un ascolto che implica un’importante e necessaria assunzione di responsabilità.

La Piazza. Foto di Margherita Caprilli.

È quello che chiedono i partecipanti al progetto anche nelle 5 lettere, sui temi dei tavoli di lavoro, che hanno elaborato come risultato finale del percorso ed è così che si rivolgono alla città:

“Cara città, e cari e care voi, che la vivete in quanto cittadini e cittadine, cari voi che la conducete in quanto amministratori e amministratrici, cari voi che ne curate le ferite, che ne abbellite le strade, che ne gestite le scuole, le aziende, l’università, i servizi, cari voi che ci lavorate, ci studiate, ci insegnate, la sognate. Parliamo con voi, sì con tutti e tutte voi, perché voi siete la nostra città, e voi siete quelli che la cambieranno. Insieme a noi.”

E ancora: “Cara città, ascoltami bene, sei bella ma non perfetta. Cara città, ti scrivo per informarti che ben 126 progetti su 400 hanno a che fare con le disuguaglianze. Questo vuol dire che tantissimi ragazzi e ragazze che ti abitano soffrono per qualche forma di discriminazione, di esclusione, di violenza.
È tutta colpa tua? Certo che no. Però tu sei grande, antica e generosa e sappiamo che ci puoi dare una mano. Voglio farti alcune domande: da dove nasce l’odio? E la paura? Da dove nasce la paura?”

Le lettere contengono analisi, numeri, nomi di compagni e compagne che hanno proposto progetti che hanno amato di più, preoccupazioni e paure ma anche possibilità di soluzioni; non accusano e non si sottraggono, chiedono aiuto, responsabilità e assumono, a loro volta, impegni.

“Cara città, questo è il tuo tavolo [città e comunità], ti sei presa tanti complimenti, ora è il momento degli impegni. Come vedi, tutte le lettere si intrecciano, come i fili di diversi colori che formano la trama di un tessuto. Diceva lo scrittore e terapeuta americano Irving Yalom: «Si può paragonare la vita a un tessuto ricamato, di cui ognuno può vedere il lato esterno nella prima metà della sua esistenza, e il rovescio nella seconda: quest’ultimo non è così bello, ma più istruttivo, poiché lascia riconoscere la connessione dei fili.» Ecco, cara città, a noi piace guardarti da tutti i lati: grazie per la tua bellezza, grazie per la tua ricchezza di connessioni e grazie per quello che farai e ci aiuterai a fare” [6].

Le lettere alla città. Foto di Davide Saccà.

Emerge l’esigenza di raccontare, ma anche, e soprattutto di costruire e rappresentare insieme, attraverso le arti, e in particolare il teatro, l’importanza dell’azione di artisti, cittadini e cittadine, insegnanti, uomini e donne, grandi e piccoli, all’interno di questo tempo e questo mondo, all’interno di questa nostra comunità.

Le arti sono al centro dell’ultimo progetto del Teatro dell’Argine proposto in questa analisi: “Cos’è quella cosa che” [7] è infatti un progetto teatrale che indaga cosa emoziona e cosa considerano arte ragazzi e ragazze dagli 11 ai 14 anni della Città metropolitana di Bologna. Ci si mette in ascolto a partire da queste domande: “Quando parliamo di arte a un dodicenne o a una tredicenne, qual è il loro primo pensiero? Cosa li appassiona o li incuriosisce? Cosa considerano arte? In quali luoghi fisici o virtuali la incontrano? Sono in grado di riconoscerla? E noi, siamo in grado di accettare una differente idea d’arte che arriva dalle nuove generazioni?”. Attraverso un’indagine esplorativa condotta attraverso un questionario, dieci laboratori nelle scuole e una conferenza-spettacolo si è cercato di raccontarlo, anzi, di farlo raccontare a loro tramite le loro stesse risposte. 

“Le parole si alternano ai numeri e i present-attori ti racconteranno cosa li appassiona, li emoziona, cosa toglie loro il fiato e cosa fa battere il cuore. Non parlano di sé, ma per quasi 2mila coetanei che tra dicembre ’22 e febbraio ’23 hanno risposto a 89 domande di un questionario costruito, vidimato e approvato da un comitato scientifico di altri 7 dodicenni e ratificato da 10 classi di pari età che per mesi hanno ragionato, da Camugnano a Sasso Marconi, da Vergato a San Lazzaro, da Bologna a Granarolo, su che cosa sia l’arte e in che modo entri nella loro vita”. Questa nota di regia teatrale di Andrea Paolucci pone l’attenzione su una metodologia che diventa possibilità di costruire un rapporto di fiducia, di ascolto e di conoscenza, nella consapevolezza che è difficilissimo catalogare le loro risposte, incasellarle, inquadrarle in ciò che li accomuna e che in un attimo li allontana. 

“A volte ci ascoltate
A volte ci parlate
A volte siamo sulla stessa barca
A volte ci contagiate
A volte siamo come l’ananas sulla pizza
A volte ci influenzate
A volte camminiamo insieme
A volte ci allontaniamo
A volte ci insegnate
Spesso ci plasmate
Ma noi apprendiamo
Vi sentiamo
E vi conosciamo
E voi?” […]
“Noi vi ascoltiamo, vi vediamo.
E voi?
Voi… cosa conoscete di noi?
Ma ci conoscete davvero così bene?” […]
“Spesso siamo proprio noi che non vogliamo farci conoscere.
Spesso siamo noi che sfuggiamo
Che ci nascondiamo
Ma altre volte siete voi che non volete vedere” […]
“Avete presente quando vi abbiamo detto che “stiamo bene”?
Ecco… forse… alla fine… non stiamo tutti bene” [8].

Dallo spettacolo-conferenza “Cos’è quella cosa che”. Foto di Federica Zanetti.

Sono al centro della scena con le loro felpe colorate, si muovono nello spazio, intanto che su uno schermo posizionato in alto appaiono grafici con i dati del questionario, per parlare di loro, per dirci chi sono e chi non vogliono essere, come stanno, per dirci che non vogliono parlare del loro corpo, spesso ingombrante, e per raccontarci come ci vedono. Stanno bene e stanno male, coltivano un rapporto con gli adulti, ma alcuni hanno perduto questo legame, sono forti e sono fragili, sono energia, bellezza, possibilità e fatica: non leggono dati, numeri e grafici, ma li raccontano attraverso una drammaturgia che fa di questo teatro uno sguardo sul mondo, un atto, anche provocatorio, che ci chiama in causa, che ci dice che c’è qualcosa che si aspettano da noi.

Spettacolo-conferenza “Cos’è quella cosa che”. Foto di Federica Zanetti

Sanno sorprenderci anche quando ci parlano di arte, nella difficoltà di definirla ma, allo stesso tempo, nel vederla vicina: “Non è semplice per noi capire cos’è l’arte: a volte pensiamo che sia solo una materia scolastica, altre volte pensiamo ad un quadro, o uno spettacolo teatrale, un museo, una mostra. Ma in fondo l’arte c’è nelle nostre vite”. La metà di loro dichiara di suonare uno strumento, amano disegnare, ascoltare la musica, i fumetti, i manga, gli anime, le serie tv, i film di animazione e i film romantici, i libri (non solo perché sono obbligati). 

“E i videogiochi? Ne vogliamo parlare? Parliamone! Perché anche se spesso faticate ad accettarlo, a noi piacciono. E tanto! Avete mai sentito parlare di Minecraft? Animal Crossing? Attraverso i videogiochi creiamo mondi nuovi, edifici giganteschi, macchine incredibili, nascondigli segreti. Curiamo l’immagine nei minimi dettagli di nuovi personaggi inventati da noi. Sapete che chi gioca a Fifa spesso passa il tempo a creare il proprio Avatar? E tutto questo grazie alla nostra fantasia e alla nostra abilità digitale. Sono nuovi strumenti. Nuovi stimoli. Che in qualche modo ci portano ad esprimere una nostra estetica. Un nostro nuovo modo di esternare ciò che abbiamo dentro. Non siete d’accordo? Allora vuol dire che i giochi che fate voi non sono belli come i nostri”.

Cercano luoghi reali e virtuali in cui esprimere un’estetica, in cui interagire di più e dove stare insieme, un’arte che possa avvicinarsi a loro.

“Non sappiamo cos’è l’arte
Non possiamo spiegarla
E non siamo in grado di rispondervi
Però una cosa è certa
O almeno… una cosa vi chiediamo
Lasciateci fare
Siamo confusi
Siamo veloci
Emozionati
Emotivi
Incasinati
Siamo a quadretti
Delle pagine bianche
Tutte da scoprire
Siamo ancora bambini
Con la testa da grandi
Ci piace giocare
E nel frattempo pensare
Siamo quasi formati
Del tutto imbastiti
Non ancora completi
Ma con passioni concrete,
gusti precisi,
interessi ignorati
C’è solo un modo per avanzare
Per provare a camminare
Smettetela di domandare
E lasciateci fare” [9].

È anche grazie a questa trilogia che il teatro, tra processi educativi e nuove cittadinanze, viene affrontato attraverso una doppia lettura: come strumento e come direzione dell’educazione, in una prospettiva che rivendica profondamente la necessità di essere e di farsi luogo, nei contesti scolastici ed extrascolastici, nell’educazione formale e non formale, come impegno e come possibilità di interpretare il mondo. Perché possa essere abitato, perché possa prendere forma dalle relazioni rinnovate che vivono in esso, dove si possa lasciare traccia, in un continuo processo di perdita e scoperta, di smarrimento e desiderio di avventura, dove ci si possa riempire di mondo standoci dentro, dove l’altro non sparisce dietro a categorie ed etichette, ma lo si ritrovi dentro a noi stessi, per desiderare di continuare a cambiare e a godere della forza della possibilità.

Note

[1] Nota informativa sulle 2 indagini dell’Istituto Demopolis per l’impresa sociale Con i Bambini sulla metodologia e campioni di ricerca demoscopica: le 2 indagini sono state condotte dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, per l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.
La prima rilevazione (La prospettiva degli under 18) è stata effettuata dal 9 al 30 maggio su un campione nazionale di 1.080 giovani intervistati di età compresa tra i 14 e i 17 anni. La seconda indagine demoscopica (Gli adolescenti italiani nello sguardo degli adulti) è stata condotta dal 24 al 31 maggio 2023 su un campione nazionale stratificato di 2.820 intervistati, statisticamente rappresentativo dell’universo della popolazione italiana maggiorenne. Supervisione demoscopica di Marco E. Tabacchi.
[2] Estratto dalla presentazione dell’indagine Come stai?
 LINK (ultima consultazione 06/09/2023).
[3] La realizzazione di questo report si deve al contributo dell’Osservatorio Adolescenti del Comune di Ferrara che ha esteso a tutti i territori della regione la propria periodica indagine provinciale, rielaborando e diffondendo il questionario con la collaborazione del Servizio Politiche sociali e socio educative della Regione Emilia-Romagna. La redazione del testo è a cura di Sabina Tassinari e Mariateresa Paladino.
[4] Per conoscere tutto il progetto Futuri Maestri  LINK.
[5] Per conoscere tutto il progetto Politico Poetico consultare il LINK .
[6] Tutte lehttp://www.futurimaestri.it lettere complete sono consultabili al LINK.
[7] Per conoscere tutto il progetto Quella cosa che LINK un progetto del Teatro dell’Argine realizzato dalla Città metropolitana di Bologna in collaborazione con i Distretti Culturali di Bologna, Montagna, Pianura EST, Pianura Ovest, Reno Lavino Samoggia, Savena Idice nell’ambito del progetto PON METRO 14 – 20 finanziato dal FSE nell’ambito della risposta dell’Unione alla pandemia di COVID-19.
[8] Estratto dal copione del progetto “Cos’è quella cosa che…”, conferenza-spettacolo presentata il 21 e 22 maggio 2023 in Salaborsa a Bologna.
[9] Estratto dal copione dello spettacolo “Cos’è quella cosa che…”

Bibliografia

Gobbi L., Zanetti F. (a cura di), Teatri re-esistenti. Confronti su teatro e cittadinanze, Titivillus, Pisa, 2011.
Grassucci D., Taddia F., Chi sono? Io. Le altre. Gli altri, De Agostini, Milano, 2021.
Laffi S., La congiura contro i giovani. Crisi degli adulti e riscatto delle nuove generazioni, Feltrinelli, Milano, 2014.
Laffi S., Quello che dovere sapere di me. I ragazzi parlano, Feltrinelli, Milano, 2016.
Lancini M., Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2023.
Martinelli M., Aristofane a Scampia. Come far amare i classici agli adolescenti con la non-scuola, Ponte alle Grazie, Firenze, 2016.
Nardone R., Adolescenti: Ciascuno cresce solo se sognato, Rivista scuola ticinese, No. 344: anno LI, Serie IV, 3/2022, pp. 35-41.
Riitano A., Artigiani dell’immaginario. Cultura, fiducia e cocreazione, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2019.
Taddia F., La giostra degli adolescenti, in «La Stampa» 14 Febbraio 2017, accessibile al LINK.
Tassinari S., Paladino M., (testo del report a cura di) Tra presente e futuro. Essere adolescenti in Emilia-Romagna nel 2022, Centro stampa Regione Emilia-Romagna, novembre 2022 (scaricabile al LINK).
Teatro dell’Argine, Futuri Maestri, Cue Press, Imola, 2018.
Zanetti F., L’accessibilità culturale come diritto di cittadinanza. Percorsi tra cultura ed educazione come possibilità di prevenzione, trasformazione, innovazione sociale, in M. Tomarchio, S. Ulivieri (a cura di), Pedagogia Militante. Diritti, culture, territori, Edizioni ETS, Pisa, 2015, pp. 939-946.
Zanetti F., Lo sforzo di andare oltre (nell’irrequietudine demonica). Quando il teatro incontra le cittadinanze: per una partecipazione culturale attiva, in M. Contini, M. Fabbri (a cura di), Il futuro ricordato. Impegno etico e progettualità educativa, Edizioni ETS, Pisa, 2014, pp. 471-483.

Federica Zanetti è professoressa associata in Didattica e Pedagogia Speciale, Università di Bologna. Insegna Strategie didattiche e di comunicazione per gli adulti e Strategie e strumenti dell’empowerment e della cittadinanza attiva.
Dirige il nuovo Centro di ricerca educativa su cittadinanze, innovazione sociale e accessibilità culturale. Dal 2009 è membro del Centro Studi sul Genere e l’Educazione dello stesso Dipartimento. Dal 2007 è referente scientifica del progetto “Teatro e Cittadinanza”, progetto culturale e formativo tra scuola, teatro e territorio, rivolto, nelle sue varie forme, a diversi pubblici e a molteplici cittadinanze.
Dal 2000 svolge attività di consulenza e formazione in progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo, in modo particolare in Nepal, Albania, Kosovo, El Salvador, Bielorussia, Palestina e Striscia di Gaza, Macedonia. Tra i principali filoni di ricerca: nuove tecnologie e inclusione, educazione alla cittadinanza (dall’approccio interculturale, al genere, fino alla cittadinanza digitale e attiva), linguaggi artistici e creativi per la prevenzione, l’innovazione sociale e l’accessibilità culturale.