§Perturbare lo spazio latente
Intelligenze artificiali e pratiche artistiche
AARON: artista o strumento?
di Francesco Rizzi

Harold Cohen, nato nel 1928 a Londra, è stato un artista visionario nell’esplorazione artistica contemporanea. Laureato in pittura presso la Slade School of Fine Art dell’University of London, il suo lavoro inizialmente era incentrato sulla pittura e altre forme tradizionali di espressione artistica, ma, il suo interesse per la tecnologia lo ha portato a esplorare l’uso del computer come strumento creativo. Inizia la sua carriera artistica producendo opere pittoriche; nel catalogo London: The New Scene del 1965, Martin Friedman, direttore del Minneapolis’s Walker Art Institute, descrive Cohen come an abstract symbolist. Nel 1966, dopo aver partecipato a eventi internazionali come Documenta 3 e la Biennale di Parigi, viene selezionato come uno dei cinque giovani artisti a rappresentare la Gran Bretagna alla XXXIII Biennale di Venezia.

Nel 1971, ha inizio il suo viaggio nella ricerca tra arte e tecnologia, infatti, presenta un dispositivo chiamato Turtle, un meccanismo, che collegato a un pc, era in grado di produrre immagini, veniva utilizzato per generare opere d’arte visive in modo più automatizzato rispetto alla pittura tradizionale.

The 1979 exhibition, Drawings, at SFMOMA, featured this 'turtle' robot creating drawings in the gallery. Collection of the Computer History Museum, 102627449.

L’anno successivo, presso il Los Angeles County Museum of Art, durante la mostra Three Behaviors for the Partitioning of Space Turtle è presente fisicamente e produce continuamente disegni durante la mostra, come dichiarato da Cohen stesso, l’aspetto affascinante dell’esposizione è di immaginare il pubblico radunato intorno al dispositivo che, al fermarsi della penna, solleva il dubbio riguardo a come la macchina continuerà successivamente; è singolare notare quanto per l’uomo sia semplice attribuire qualità antropomorfiche alle attività delle macchine. 

Il processo artistico va oltre il semplice atto del disegno, infatti, spesso, l’apprezzamento dell’arte non risiede tanto nel messaggio esplicito dell’artista ma piuttosto nella capacità di suscitare riflessioni e generare significato nell’osservatore. In altre parole, potremmo dire che in questo caso l’arte funge più da fonte di stimolo intellettuale che da veicolo di comunicazione diretta.

Qualche mese dopo durante la mostra Machine Generated Images presso il Museo di Arte Contemporanea “La Jolla” di San Diego la macchina da disegno e il computer che la controllava erano apparsi in galleria. Ogni giorno, all’orario di chiusura della mostra, Turtle aveva creato un disegno che veniva incorniciato e messo in mostra per il giorno seguente; questo procedimento dopo 26 giorni avrebbe completato le opere e la mostra stessa. Come chiarito da Cohen stesso: la mostra diventa il processo stesso nel suo complesso (McCorduck, 1991).

Dal 1973 al 1975 Cohen è stato Visiting Fellow presso il laboratorio di Intelligenza Artificiale di Stanford dove inizia a sviluppare il programma AARON, uno dei primi esempi di un sistema in grado di prendere decisioni creative in autonomia, si tratta probabilmente del programma più longevo sviluppato ininterrottamente nella storia dell’informatica, iniziato nel 1973 e sviluppato fino al 2016, anno della morte dell’artista. 

AARON è stato creato con l’intento di rispondere a una domanda: quali sono le condizioni minime in base alle quali un insieme di segni possa esser considerato un’immagine?

Il programma, che era collegato a una macchina che produceva fisicamente i disegni, permetteva di esercitare il suo potere di differenziazione tra forme chiuse e aperte. Inizialmente, la macchina si dedicava alla creazione di forme chiuse, ma in seguito le era stato concesso di mescolare tali forme, dando vita a composizioni più intricate, dove gli elementi, pur essendo distinti, mantenevano la loro chiusura. In un secondo momento, ha ampliato il suo repertorio, introducendo segni non più di forma chiusa ma aperta come croci, zig-zag e scarabocchi arricchendo così la sua espressione artistica.

Nel 1974 si è tenuta la prima mostra di AARON presso la Worth Ryder Gallery a Berkeley, dal titolo Drawings by Hand/Drawings by Machine. Accanto ai disegni del programma troviamo i disegni fatti da Cohen con inchiostro e acrilici, come se stessero esponendo due artisti differenti. 

Le prime versioni di AARON erano molto limitate, infatti, originariamente è stato programmato tramite un metodo di hard coding, cioè basato sull’immissione di regole codificate rigidamente e pensate caso per caso dall’artista stesso.

Dopo il notevole successo ottenuto, Cohen si trova di fronte a una constatazione, ovvero che il programma AARON, pur producendo disegni sempre più complessi, mostrava segni evidenti di stagnazione. Tale immobilismo si manifesta nella ripetizione di schemi predefiniti e nella mancanza di capacità di esplorare nuove possibilità creative.

Realizzando il bisogno di un necessario cambiamento radicale, l’artista decise di espandere il modello cognitivo di AARON, introducendo dei processi più avanzati. Questa trasformazione era in linea con il cambiamento fondamentale nel campo dell’intelligenza artificiale di quegli anni, infatti, passa dal concetto che le sole regole potessero generare comportamenti intelligenti, al riconoscimento che l’intelligenza deriva dall’interazione tra regole e conoscenza specifica dei compiti. Così AARON, da un sistema basato su regole relativamente semplici pensate caso per caso, passa a un sistema esperto più sofisticato, dotato di basi di conoscenza approfondite sull’arte e sul mondo reale. Questo nuovo approccio consente non solo di rappresentare il mondo esterno attraverso i suoi disegni, ma anche di acquisire conoscenze e comprensioni dal mondo esterno per migliorare la sua capacità di creare rappresentazioni sempre più plausibili.

Harold Cohen, Untitled [Amsterdam Suite], 1977/Jan'78. Colored pencil on lithograph, 22 × 28 3/4 in. (55.9 × 73 cm). Whitney Museum of American Art, New York; gift of Robert and Deborah Hendel 2023.151. © Harold Cohen Trust

In sostanza, Cohen da questo momento trasforma AARON da un semplice programma di disegno a un sistema di intelligenza artificiale in grado di produrre disegni più accurati e complessi, grazie all’elaborazione e all’applicazione di conoscenze date dall’artista (McCorduck, 1991).

Nel 1980, Cohen collabora con RAND Corporation, un istituto di ricerca privato, dove avviene una discussione con l’informatico Hayes-Roth che lo porta a sperimentare un nuovo approccio per AARON: generare disegni di animali basati su descrizioni interne semplificate, questa innovativa strategia genera disegni sorprendentemente realistici. Grazie a questa esperienza Cohen prende consapevolezza che il programma necessitava di una comprensione maggiore del mondo esterno, dunque, inizia a introdurre rudimentali nozioni sulla realtà circostante. 

Questo cambio di paradigma porta a una nuova fase per AARON, permettendogli di generare forme complesse e di capire meglio ciò che stava disegnando, aprendo la strada a un’evoluzione molto significativa del programma stesso. 

Infatti, da quel momento, AARON era in grado di generare rappresentazioni realistiche di animali descrivendone la struttura interna in modo condensato e utilizzando un nucleo concettuale semplice, portando alla creazione di disegni di animali sorprendentemente simili a quelli di antiche rappresentazioni artistiche preistoriche, segnando una nuova fase di sviluppo ovvero la capacità di disegnare figure umane e oggetti riconoscibili. 

L’artista aveva superato la preoccupazione che il passaggio alla figurazione avrebbe potuto diminuire il potere evocativo dei disegni del programma, riconoscendo che le nuove rappresentazioni avevano una maggiore rilevanza e significato per lo spettatore, scoprendo, data una strategia rappresentativa adeguata, anche una quantità minima di conoscenza poteva generare immagini plausibili. 

Alla fine degli anni Ottanta AARON è passato a una fase in cui le figure umane erano basate su una conoscenza tridimensionale completa, iniziando ad affrontare i problemi di composizione e dimensionalità (immagine 3) (McCorduck, 1991). 

Nel 1995, venne alla luce una nuova iterazione di AARON, caratterizzata non solo dalla capacità di disegnare forme, ma anche di applicare diversi colori. L’implementazione di queste funzionalità avanzate richiese lo sviluppo di un software più sofisticato, reso possibile grazie alla transizione dal linguaggio di programmazione C a LISP, uno degli standard più utilizzati nell’ambito dell’intelligenza artificiale. Il lavoro di Cohen e AARON di questi anni non risulta un unicum, ma si inserisce in un contesto più ampio di artisti che esplorano l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’arte; tra questi, troviamo altri pionieri come Manfred Mohr e Vera Molnár che hanno sviluppato sistemi algoritmici per la creazione di opere d’arte. A differenza di quest’ultimi, il lavoro di Cohen si distingue per l’interazione profonda tra uomo e macchina e per la ricerca di un’estetica originale e personale, inoltre egli considera l’arte come una rappresentazione della conoscenza e crede che la storia dell’arte sia un esercizio nella rappresentazione della conoscenza.

Cohen ha continuamente riflettuto sulla natura di questa relazione, tra lui e AARON, cercando di definirla per comprenderne l’impatto sulla sua creatività e, in particolare, il passaggio da un approccio di “assistente talentuoso” a quello di “collaboratore” ha segnato un cambiamento significativo.

Nell’articolo del 1999 A Self-defining Game for One Player, Cohen sottolinea come la creatività non sia semplicemente un atto del genio individuale ma piuttosto un processo continuo di sviluppo e introduzione di nuovo materiale, unito a un approfondimento delle percezioni. Questa visione sfida l’idea tradizionale di creatività come mero atto di ispirazione individuale, evidenziando invece l’importanza del costante lavoro e della riflessione nel processo creativo (Cohen, 1999).

Riflettendo sul passaggio dalla pittura alla programmazione nel corso di una conferenza alla Tate Modern nel 2004, l’artista ha sottolineato che la transizione non era facoltativa, ma il passo successivo necessario nel perseguire il suo lavoro, proprio come lo era stato imparare a dipingere (Wiggins, Preston, 2017).

Un altro punto chiave sollevato da Cohen riguarda il concetto di feedback nella creatività. Egli evidenzia come il feedback risulti centrale sia nel lungo termine della carriera creativa di un individuo, sia nella costruzione graduale di nuovo materiale. Questo suggerisce che qualsiasi tentativo di sviluppare un programma creativo dovrebbe essere basato su regole informate da criteri specifici, che derivano dalla percezione dell’individuo del proprio stato finale desiderato.

In un intervento nell’ambito del seminario Dagstuhl sulla creatività computazionale del luglio 2009, l’artista discute dell’evoluzione e delle sfide affrontate durante lo sviluppo del suo programma focalizzato su due punti: il processo di selezione e applicazione dei colori e sull’arte dell’autoassemblaggio (Cohen, 2009). 

Più nello specifico, per consentire al programma di selezionare e applicare i colori in modo efficace ed esteticamente gradevole nelle opere d’arte generate, inizialmente, Cohen e il suo team affrontano il problema del colore utilizzando un sistema basato sul modello RGB (Red, Green, Blue), che è comunemente usato per rappresentare i colori nelle immagini digitali. Tuttavia, si resero conto che questo approccio non era sufficientemente sofisticato per creare opere d’arte visivamente; di conseguenza, decisero di adottare un approccio diverso basato sul modello di colore HLS (Hue, Lightness, Saturation). Questo modello, a differenza di RGB, separa la tonalità (hue), la luminosità (lightness) e la saturazione (saturation) del colore, consentendo una maggiore flessibilità e controllo sulla selezione dei colori. Con l’adozione del modello di colore HLS, AARON era in grado di generare opere d’arte con una gamma più ampia di colori. Questo cambiamento strategico nell’approccio al colore ha migliorato notevolmente l’aspetto visivo delle opere d’arte prodotte dal programma. Cohen e il suo team hanno continuamente affinato e ottimizzato le tecniche di colorazione del programma, consentendogli di esprimere la sua creatività in modo più sofisticato e maturo.

Invece, il concetto di autoassemblaggio si riferisce alla capacità del programma di generare forme e strutture in modo autonomo, senza la necessità di input esterni o istruzioni specifiche da parte dell’artista. Il processo di autoassemblaggio in AARON è guidato da un insieme di regole e vincoli predefiniti, che determinano come le forme e le strutture vengono create e combinate. Queste regole possono includere parametri come la direzione del tratto, la lunghezza, l’angolazione e la densità, che influenzano la generazione delle forme. Inoltre, il programma può essere dotato di un ‘vocabolario’ di forme di base, come linee, curve, cerchi e poligoni, che possono essere combinate e manipolate per creare composizioni più complesse. Durante il processo di autoassemblaggio, AARON può esplorare una vasta gamma di configurazioni e disposizioni delle forme, utilizzando algoritmi di generazione casuale o basati su regole per determinare la disposizione finale. Questo approccio consente al programma di sperimentare e produrre una varietà di composizioni visive uniche e interessanti. L’autoassemblaggio nel programma non si limita solo alla creazione di forme statiche, ma può anche coinvolgere processi dinamici di trasformazione ed evoluzione delle forme nel corso del tempo. Ad esempio, il programma potrebbe essere in grado di generare animazioni che mostrano il movimento e la mutazione delle forme nel corso del tempo, aggiungendo un elemento di dinamicità e vitalità alle opere d’arte generate.

Harold Cohen, Stephanie & Friend, 1993. Acrylic and plotter pen on canvas, 54 × 78 1/4 in. (137.2 × 198.8 cm). Whitney Museum of American Art, New York; gift of Robert and Deborah Hendel 2023.144. © Harold Cohen Trust

Cohen riflette sulla natura stessa della creatività e su come essa possa essere manifestata in un programma informatico come AARON. Egli sottolinea che la creatività in un programma non si manifesta necessariamente nei termini umani, ma può assumere forme e modalità uniche proprie del contesto computazionale. Questo solleva interessanti domande sull’autonomia e sulle capacità creative dei programmi informatici, aprendo la strada a ulteriori ricerche e sviluppi nel campo dell’intelligenza artificiale e della creatività computazionale. L’integrazione di AARON nel processo creativo di Cohen ha portato a innovazioni sia tecniche che concettuali.

Harold Cohen, Aaron Gijon, 2007. Screenshot. Artificial Intelligence Software. Whitney Museum Of American Art, New York; © Harold Cohen Trust.

Dopo un periodo di crisi nel 2009, quando una nuova funzionalità di AARON sembrava interrompere il dialogo creativo con Cohen, quest’ultimo ha ripreso il controllo del pennello nel 2010, utilizzando la mano per aggiungere dettagli alle opere generate dal programma. Dopo un periodo dedicato alle opere d’arte rappresentative, AARON e Cohen sono tornati alla pura astrazione. La studiosa Louise Sundararajan, nel corso di un’intervista a Cohen, ne analizza il rapporto con AARON durante gli ultimi sei anni della vita dell’artista, dal 2010 fino alla sua morte all’età di 87 anni nel 2016. 

Inizialmente, quando è stato creato AARON, Cohen aveva l’ambizione di renderlo autonomo, aspirando a lasciare un’eredità artistica che persistesse anche dopo la sua morte, tuttavia, verso la fine del 2011, ha cambiato idea, riconoscendo che senza di lui AARON avrebbe probabilmente cessato di esistere.

L’artista riprende a dipingere a mano nel 2010, dopo aver lasciato che AARON si occupasse della colorazione per oltre un decennio. L’innovazione tecnologica è stata una costante nel percorso artistico di Cohen, nel 2015, anno prima della morte dell’artista, ha adottato la tecnica del finger-painting, consentendo un’interazione diretta con AARON e una riduzione delle barriere tra programma e programmatore. In un suo testo, l’autore esplora l’adozione della tecnologia touch per la pittura, per cui il sistema di input con le dita è suddiviso in tre parti: il programma AARON per la creazione dei disegni, un sistema con due schermi (uno con tecnologia touchscreen e uno solo di controllo) per la manipolazione dei disegni e una stampante per trasferire i disegni su tela. Il processo di pittura avviene attraverso il movimento delle dita sullo schermo touch, che fungono da pennelli virtuali e i colori vengono selezionati e miscelati tramite un’interfaccia digitale (Cohen, 2016). 

Durante questa collaborazione, Cohen ha integrato la teoria semiotica del matematico e filosofo Charles Sanders Peirce, considerando AARON come un “segno” che lui interpretava. Introducendo anche il concetto di vuoto nelle sue opere d’arte, ispirandosi alla tradizione cinese e diventando un tema centrale nelle opere, evidenziando la sua ricerca di un equilibrio tra la presenza e l’assenza, tra la figura e lo sfondo.

Come ricordato anche da Laura Cocciolillo in un articolo per Artribune (2024), a differenza dei sistemi text-to-image che stanno emergendo sempre più frequentemente, i quali creano immagini combinando elementi da dataset preesistenti, AARON è un programma unico nel suo genere. Infatti, invece di ricombinare immagini, AARON è stato progettato per generare opere d’arte imitando il processo decisionale e creativo umano, seguendo le regole e le istruzioni impartite dal suo creatore, Harold Cohen. Questo significa che il programma non solo produce opere d’arte, ma lo fa in modo simile a come un artista umano prenderebbe decisioni e applicherebbe il proprio stile unico. Quindi, oltre ad essere un software-allievo di Cohen, AARON funge anche da suo alter ego nel mondo digitale dell’arte. Questa peculiarità lo rende un unicum senza confronti, distinguendolo nettamente dai comuni sistemi text-to-image presenti oggi. 

Questo rende naturale sollevare la domanda: AARON artista o strumento?

AARON è un’entità unica che sfida la semplice categorizzazione come “artista” o “strumento”. È stato creato da Harold Cohen come una forma di espressione artistica e, allo stesso tempo, funge da strumento attraverso il quale Cohen esplora i confini dell’intelligenza artificiale e dell’arte computazionale. AARON è in grado di generare opere d’arte seguendo regole e istruzioni impartite da Cohen, ma lo fa in modo autonomo e creativo, imitando il processo decisionale e creativo umano. Pertanto, potremmo considerare AARON come un artista assistente, capace di produrre opere d’arte originali sotto la guida e la supervisione dell’artista, tuttavia, la profondità della sua creatività e il modo in cui interpreta le istruzioni fornite potrebbero anche suggerire che AARON abbia una sua forma di “individualità” artistica, sebbene mediata attraverso il processo di programmazione e le direttive del suo creatore. In questo senso, potremmo anche vedere AARON come un’entità ibrida, che esiste in una zona grigia tra l’artista e lo strumento, sfidando le definizioni convenzionali e aprendo nuove prospettive sul rapporto tra l’uomo e la macchina nell’ambito dell’arte.

Bibliografia

Cocciolillo L., Chi è Harold Cohen, il pioniere dell’AI Art, in «Artribune» 29/02/2024 (Consultato il 08/04/2024).
Cohen H., A Self-defining Game for One Player, 1999.
Cohen H., Fingerpainting for the 21st Century, 2016.
Cohen H., Making Art for a Changing World, 2002.
Cohen H., The Art of Self-Assembly: the Self-Assembly of Art, 2009.
McCorduck P., AARON’s code: meta-art, artificial intelligence, and the work of Harold Cohen, W.H. Freeman, New York, 1991.
Sundararajan L., Harold Cohen and AARON: Collaborations in the Last Six Years (2010–2016) of a Creative Life, in «Leonardo» 2021; 54 (4): 412–417.
Wiggins W, Preston L., Harold Cohen and AARON: The Birth of Machine Art, 2017.

Francesco Rizzi è attualmente dottorando presso l’Università di Parma. Si specializza nell’arte contemporanea con un particolare interesse nel rapporto tra arte e tecnologia. La sua ricerca si concentra sui computer e i dispositivi elettronici come mezzi artistici, ponendo un’enfasi specifica sulle tecnologie emergenti tra cui: la Blockchain, gli NFT (Non-Fungible Token), l’Intelligenza Artificiale e le tecnologie XR (Extended Reality). In precedenza, ha svolto il ruolo di assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna, come membro del VARLab (Virtual and Augmented Reality Lab dell’Università di Bologna). Durante tale esperienza collaborando con il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Padova, ha realizzato un’applicazione per Meta Quest 2 volto allo studio degli effetti dell’inclusione ed esclusione sociale in realtà virtuale.