Non abbiamo paura di affermarlo: vogliamo uomini capaci di evolvere costantemente; capaci di distruggere, di rinnovare costantemente gli ambienti e di rinnovare se stessi; uomini la cui indipendenza intellettuale sia la forza suprema, che non si sottomettano mai a nulla; disposti sempre ad accettare il meglio, felici nel trionfo delle idee nuove e che aspirino a vivere vite molteplici in una sola vita. La società teme questi uomini: non bisogna quindi aspettarsi che voglia mai un’educazione capace di produrli. 1
Nella concezione “depositaria” che stiamo criticando, per cui l’educazione è l’atto di depositare, trasferire, trasmettere valori e conoscenze, non si verifica questo superamento e non può verificarsi. Al contrario, come riflesso di una società oppressiva, come dimensione di una “cultura del silenzio”, l’educazione “depositaria” mantiene e stimola la contraddizione.
Infatti si basa su una serie di postulati che richiamano un tipo di rapporti “verticali”:
- L’educatore educa, gli educandi sono educati;
- L’educatore sa, gli educandi non sanno;
- L’educatore pensa, gli educandi sono pensati;
- L’educatore parla, gli educandi lo ascoltano docilmente;
- L’educatore crea la disciplina, gli educandi sono disciplinati;
- L’educatore sceglie e prescrive la sua scelta, gli educandi seguono la sua prescrizione;
- L’educatore agisce, gli educandi hanno l’illusione di agire, nell’azione dell’educatore;
- L’educatore sceglie il contenuto programmatico; gli educandi, mai ascoltati in questa scelta, si adattano.
- L’educatore identifica l’autorità del sapere con la sua autorità funzionale, che oppone in forma di antagonismo alla libertà degli educandi; questi devono adattarsi alle sue determinazioni;
- L’educatore è infine il soggetto del processo; gli educandi puri oggetti.
Se l’educatore è colui che sa, se gli educandi sono coloro che non sanno, spetta a lui dare, consegnare, trasmettere il suo sapere a loro. Sapere che non è “esperienza fatta”, ma esperienza narrata o trasmessa. È normale quindi che in questa educazione “depositaria” gli uomini siano visti come esseri destinati ad adattarsi. Quanto più gli educandi diventano abili nel classificare in archivio i depositi consegnati, tanto meno sviluppano la loro coscienza critica, da cui risulterebbe la loro inserzione nel mondo, come soggetti che lo trasformano.
Quanto maggiore è la passività loro imposta, tanto più “naturalmente” tendono ad adattarsi al mondo (invece di trasformarlo) e alla realtà che ricevono sminuzzata nei “depositi”.
Questa educazione “depositaria” nella misura in cui annulla o minimizza il potere creatore degli educandi, stimolando la loro aderenza alla natura e non la loro capacità critica, soddisfa gli interessi degli oppressori: per questi, non è fondamentale mettere a nudo il mondo e trasformarlo. Il loro “umanitarismo” non è umanesimo, e consiste nel preservare la situazione di cui risentono i benefici e che rende possibile quella loro falsa generosità cui ci siamo riferiti nel capitolo precedente. Perciò reagiscono perfino in modo istintivo contro qualunque tentativo di educazione che stimoli veramente il pensiero, che non si lasci imbrigliare da visioni parziali della realtà, cercando sempre i rapporti che legano un problema all’altro.
Ciò che gli oppressori in realtà si ripromettono è “trasformare la mentalità degli oppressi e non la situazione che li opprime”2 per dominarli meglio, adattandoli a questa situazione. A questo fine usano la concezione e la pratica dell’educazione “depositaria”, a cui aggiungono tutta una azione sociale di carattere paternalista, in cui gli oppressi ricevono il simpatico nome di “assistiti”.3
Non è troppo dire che una filosofia dell’educazione che professa di essere fondata sulla libertà può diventare altrettanto dogmatica quanto l’educazione alla quale reagisce. Difatti qualsiasi teoria e qualsiasi sistema pratico è dogmatico, quando non è basato su un esame critico dei propri fondamenti.4
[…] Io muovo dalla persuasione che fra tutte le incertezze c’è un punto fermo; il nesso organico tra educazione e esperienza personale; ovvero, che la nuova filosofia dell’educazione si innesta su qualche tipo di filosofia empirica e sperimentale.5
1 Francisco Ferrer Y Guardia, La Scuola Moderna. Verso una educazione senza né voti né esami. Edizioni Avanguardia 21, Roma 2014 (ebook s.pp.); testo originale Francisco Ferrer y Guardia, Orígenes e ideales de la Escuela Moderna, Nueva Cork, 1913.
2 Simone de Beauvoire, La pensée de droits aujourd’hui, in “Les temps moderne Speciales”, numero speciale sur la gauche, Paris 1955.
3 Paulo Freire, L’educazione degli oppressi, EGA editore, Torino 2002, pp. 59/60.
4 John Dewey, Esperienza e educazione, Raffaello Cortina, Milano 2014, p.9.
5 idem, p. 11.