a cura di Giulia Grechi
“Perciò io vorrei soltanto vivere
pur essendo poeta
perché la vita si esprime anche solo con se stessa.
Vorrei esprimermi con gli esempi.
Gettare il mio corpo nella lotta.
(…)
– in quanto poeta sarò poeta di cose.
Le azioni della vita saranno solo comunicate,
e saranno esse, la poesia,
poiché, ti ripeto, non c’è altra poesia che l’azione reale.”
(Pier Paolo Pasolini, Poeta delle Ceneri, 1966)
Foucault si chiedeva di quale corpo la società ha bisogno, che tipo di corpo la società desidera, cosa sa la società del corpo. Il corpo è lo spazio dove vengono forgiate le “verità” sociali, dove vengono inscritte le normatività culturali, e dove vengono messe in scena le contraddizioni delle une e delle altre. E’ sul corpo che si esercitano la violenza delle biopolitiche e degli stereotipi. Ma il corpo è anche terreno di resistenza, di creatività e di contro-narrazioni, luogo dell’innesco: “domando che mi si consideri a partire dal mio desiderio”1. La performatività del corpo, la stratificazione di sensi che il corpo contiene e produce, mette in discussione gli approcci “mono-oculari” che hanno tentato di mapparlo. Il corpo è “naturalmente sovversivo”2: si rifiuta di conformarsi a dualismi sterili e inutili riduzionismi, primo fra tutti quello tra corpo e mente, che ha strutturato gran parte della nostra cultura e delle nostre discipline, proprio a partire dalla rimozione della corporeità e della sua significatività. Il corpo è mindful, è intriso di mente, e proprio per questo è fondamentalmente indocile.
Allora possiamo provare a invertire la questione posta da Foucault. Di quale società ha bisogno il corpo? Che tipo di società è quella che il corpo desidera? Cosa sa il mio corpo della società?
Il 31 maggio 1975, alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, Fabio Mauri proietta sul corpo di Pier Paolo Pasolini, seduto nel buio, il suo film Il Vangelo Secondo Matteo. Il corpo di Pasolini si fa schermo vivo, il suo torace teso incarna letteralmente il proprio stesso linguaggio: Pasolini non può ri-vedere la sua opera, può solo saperla o ricordarla con il corpo, come l’erpice kafkiana, sentendo tutta la responsabilità di questa incorporazione – una responsabilità politica e etica. Fabio Mauri scrive a proposito di questa performance che la proiezione “rivela fisicamente la nascita del “segno intellettuale”, “dentro” il corpo dell’autore”, ma comporta anche dell’altro: “l’imposizione di una “passione” che l’autore subisce, per cui sembra rispondere corporalmente di ciò che ha concepito”. Essere un Intellettuale (questo il titolo della performance) critico e innamorato del mondo, forse implica proprio questo gettare il corpo nella lotta. “Oh mio corpo fai sempre di me un uomo che interroga!”3.
“Il corpo è un’uniforme! Il corpo è milizia armata! Il corpo è azione violenta! Il corpo è rivendicazione di potere! Il corpo è in guerra! Il corpo s’afferma come soggetto! Il corpo è un fine e non un mezzo! Il corpo significa! Comunica! Grida! Contesta! Sovverte!” (Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, 1994).
“Ora ho freddo. Il corpo non ama le conferenze sul corpo” (Fabio Mauri, Senza Corpo, 1997).
1 Frantz Fanon, Pelle Nera Maschere Bianche, 1952.
2 Nancy Scheper-Hughes, Il sapere incorporato: pensare con il corpo attraverso un’antropologia medica critica, 2000.
3 Frantz Fanon, Pelle Nera Maschere Bianche, 1952.