anno 6, n. 21 febbraio – aprile 2016
Vuoto apparente

a cura di Silvia Calvarese

Nel pensiero più comune il vuoto viene spesso associato a qualcosa di negativo, come la privazione, l’abbandono, il rimpianto, l’assoluta mancanza. Questa attribuzione di significato ha radici lontane; già i greci, infatti, videro «nel concetto di vuoto qualcosa che eccede ogni misura: perdita del limite, assenza di determinazione, mancanza, disordine, perfino orrore e paura»1.
Considerato però da un’altra prospettiva, il concetto di vuoto racchiude in sé una serie di opportunità: non perdita ma ricerca, non negazione dell’esistenza ma spazio che «conserva in sé tutta la potenzialità dell’essere, […] presenza di tutte le possibilità»2.

«Tutti gli spazi, ritenuti vuoti dal volgo, nei quali percepiamo solo dell’aria, sono almeno altrettanto pieni, di storie, di ricordi e di potenzialità e pieni della stessa materia, che quelli in cui percepiamo altri corpi. […] e questo può apparire molto strano a parecchi la cui ragione non va più in là delle loro dita e che ritengono esservi al mondo solo ciò che toccano»3.

Il vuoto dà quindi infinite possibilità, tra cui quella di ricostruire ciò che per volontà o dimenticanza non è stato detto e di restituire allo spazio o agli oggetti «la relazione tra respiro e pensiero»4.

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In the most common thought emptiness is often associated with something negative, as deprivation, abandonment, regret, absolute lack. This attribution of meanings has deep roots: the Greeks had in fact already seen “in the concept of emptiness something that exceeds any measure: loss of limit, absence of determination, lack, disorder, even horror and fear.”1

If considered from another point of view, the concept of emptiness includes several opportunities: not loss but research, not denial of existence, but space that “keeps in itself all the potentiality of being, […] presence of all the possibilities”.2

“All the spaces considered empty by the common people, where we perceive only air, are at least as full of stories, memories and potentiality and full of the same matter, as those where we perceive other bodies. […] And this may seems very strange to many, whose intellect does not go further than their fingers, and that believe that in the world exists just what they can touch”.3

Thus, emptiness offers endless possibilities, including the possibility of rebuilding what has not been said for will or forgetfulness and the possibility of return to space or objects “the relationship between breath and thought.”4

 

1 M. De Paoli, L’infinito. Il vuoto: dialettica delle configurazioni dell’infinito e del vuoto nel pensiero occidentale, Schena Editore, 1988, p. 40.
2 Shana Forlani, Amor Vacui, testo di presentazione di un percorso didattico del Guggenheim di Venezia.
3 M. De Paoli, Op. cit., p. 48.
4 M. Taussig, Cocaina. Per un’antropologia della polvere bianca, Bruno Mondadori, 2004, p. 4.