CENSORSHIP
Holy humour
di Ida Nabresini
In Das Leben des Jesus i personaggi fanno surf nudi, sniffano incenso e si sbronzano di continuo. E questo ha creato non pochi problemi all’autore Gerhard Haderer. Il cartoonist mette in scena un Cristo disoccupato i cui miracoli sono ingenui coups de theatre di cui approfittano discepoli, quanto mai sfaccendati, per far soldi.
Nel febbraio del 2005, tre anni dopo la pubblicazione del suo libro a fumetti in quel Peloponneso che diede i natali all’irriverente Archiloco ed al caustico Aristofane, il disegnatore austriaco è stato convocato in un tribunale di Atene con l’accusa di blasfemia, mossa direttamente dalla Chiesa ortodossa. «Non è lecito ridicolizzare le cose sacre e religiose. Le spiritosaggini sono fuori luogo quando si tratta di certi argomenti» ha sentenziato Monsignor Epiphanios, portavoce del Patriarca. Così, pur vivendo in Austria, il fumettista è stato condannato a sei mesi con la condizionale in Grecia e il suo albo ritirato dalla vendita. L’indomani della sentenza (il cui verdetto è stato rovesciato in appello qualche mese dopo), l’editore Fritz Panzer ha commentato stupito: «Dopo tutto la Grecia è un membro dell’Unione Europea e, uno penserebbe, non è uno stato teocratico nel quale la libertà d’espressione di un artista viene schiacciata».

Eppure, qualche lega più a ovest, il menage a troi arte/humour/religio continua a mietere vittime. E’ il caso della scultura di Paolo Schmidlin Miss Kitty (un discinto Papa Benedetto XVI con mantellina aperta sul petto, mollettina rosa nei capelli, perizoma e autoreggenti) e del fotomontaggio dei ConiglioViola Ecce trans (uno scatto di Silvio Sircana, portavoce del secondo governo Prodi, fermo in auto accanto ad un trans, cui è stato audacemente sostituito un Cristo misericordioso, richiamo esplicito al Vangelo secondo Matteo, per il quale in tutti i reietti è possibile scorgere l’imago Christi, e al potere dell’artista, la cui macchina fotografica è in grado di cogliere uno scoop che veda oltre la realtà), entrambe al centro di una dura bagarre che ha decretato la chiusura della mostra omoerotica Arte e omosessualità. Da von Gloeden a Pierre et Gilles curata nel 2007 da Eugenio Viola in una cattolicissima Milano. La censura preventiva dell’ex sindaco Moratti è stata irremovibile perfino dinanzi l’epitaffio del curatore napoletano: «all’artista libertà di espressione, al critico di selezione, al pubblico di opinione; a ognuno la responsabilità morale delle proprie scelte»1.

Rigurgito clericale di quel Bel Paese benpensante che nel 1564 impose le “braghe” agli scandalosi nudi del michelangiolesco Giudizio Universale? Forse. Ma anche nella Francia della libertà d’opinione a tutti i costi, nell’ottobre 2011, un manipolo schiamazzante di ferventi cattolici, crocifisso alla mano e mantelli rossi sulle spalle, membri del conservatore Institut Civitas (lo stesso gruppo che ha aspramente contestato la fotografia dell’artista spagnolo Andres Serrano, Immersion Piss Christ, dove Gesù è presentato immerso in una pozza di urina), si è esibito, presso il Théatre de la Ville di Parigi, in un variegato repertorio di lanci d’uova e olio, insulti, minacce e interruzioni dello spettacolo Sul concetto di volto nel figlio di Dio, curato dalla cesenate Societas Raffaello Sanzio. L’accusa mossa contro l’autore, Romeo Castellucci, è di cristiano-fobia e blasfemia, benché l’opera sia una sorta di Ecce Homo, un commovente esempio di sacrificio e amore filiale (simboleggiato dal paziente figlio che pulisce il padre incontinente in un appartamento dallo stridente biancore ospedaliero), ma anche un’analisi forte ed incisiva sull’abuso tristemente ordinario dell’immagine del Salvator Mundi (che qui ha le fattezze dolci e pensose del Cristo di Antonello da Messina).

E che dire del cattolicesimo identitario propugnato a gran voce dall’Alleanza Europea dei Movimenti Nazionalisti? O dell’alzata di scudi contro la traduzione e pubblicazione di Seinto oniisan (manga pluripremiato di Nakamura Hikaru, sulle divertenti disavventure di un Buddha dormiglione e di un affascinante Gesù in stile Johnny Depp, alle prese col senso della vita nel XXI sec.)? Un nuovo eccesso di zelo missionario?
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 Hikaru Nakamura, Seinto Oniisan, in Morning 2, Kodansha, Tokyo 2007.Courtesy of Kodansha
 
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Hikaru Nakamura, Seinto Oniisan, voll.1, Kodansha, Tokyo 2007. Courtesy of Kodansha
 
 
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Fedeltà e devozione assolutizzanti – alla Chiesa, come del resto anche alla Bandiera o alla Causa – richiedono non solo, scarsa intelligenza ed alta emozionalità, ma soprattutto la messa al bando del libero arbitrio, ovvero la presunzione che la spectatorship sia «senza cervello, corrotta e senza principi, in uno stato di fede e discernimento così malandato e debole da non poter ingerire niente se non attraverso la cannuccia del censore»2. Ogni coercizione della libertà d’espressione, decretata in nome di un bel blocco d’umanità solido e sicuro, un’attraente e docile unanimità, tradisce il proposito di un conformismo inamidato operante nei meandri della corteccia cerebrale. Il credente puro e duro non solo nega in pubblico ogni valore paideutico all’oggetto dei propri strali, pretendendone l’abiura, ma la sua tirannica autodisciplina interiore sottomette una coscienza terrorizzata: «egli esercita una privata cortina di ferro dentro il suo cranio, per proteggere le sue illusioni contro le intrusioni della realtà»3. L’aggressiva tendenza a proibire, in nome della difesa di confini morali che un morigerato senso dell’etica ritiene opportuno non valicare, implica una vigilanza spasmodica dell’actio altrui. Ciascun diligente campione di Verità, novello paladino della stabilità dell’ordo orbi, di fatto rende impossibile ogni altra forma di pensiero, soggioga il fratello, affrancatosi dalla collettività, nella rigida maglia dei tabù, muta la conoscenza in un genere controllato, marchiato e patentato. L’idea indipendente diviene l’avversario da stanare, porre all’indice e bandire in quanto gene perverso, marchio epidermico del traditore liberale, colui che alla rettitudine totalitaria e allo sciovinismo aggressivo antepone il riconoscimento della dignità dell’altro, il mendace pusillanime che all’inclinazione diffusa ad «educare, pacificare, programmare, raddrizzare, migliorare il vicino»4, preferisce l’ambivalenza di punti di vista molteplici. La libertà di coscienza e il conseguente diritto soggettivo d’ignorare qualsiasi costrizione nel perseguimento di un ideale sapienziale, assurge a nemico efferato, impurità incontrollabile capace d’intaccare l’innocente pedigree di un mondo primigenio, pacificato dall’ipse dixit, con la stilla vitale del dubbio. I frutti intellettuali, siano essi scritti, orali o iconici corruttori, peggio di un’anima peccatrice, rappresentano virgulti da soffocare nell’utero, bocconi prelibati da includere nel numero dei dannati e confinare in nuovi limbi e nuovi inferi, per salvaguardare una Verità della cui forza, forse, si dubita a tal punto da impedire un onesto confronto.

Una così rigida dieta delle menti, scevra di qualsiasi esercizio dell’intima capacità di scelta, le incatena, di fatto, in una perpetua infanzia di astensione. Nessuna sorpresa allora, se alla 54° Biennale di Venezia, ILLUMInazioni, il padiglione danese indagasse, attraverso l’opera di 18 artisti di diversa provenienza geografica, il problema della costante erosione delle libertà civili nel mondo, passando dalla censura e dalle intimidazioni ai giornalisti in Russia, come Yelena Tregubova, ex corrispondente al Cremlino del quotidiano Kommersant, allo scandalo Google in Cina, dove firewall e sistemi di filtraggio, forniti dall’americana Cisco System, ammoniscono i cybernauti che parole come “diritti umani”, “Tiananmen”, “sesso”, sono «espressione vietata; siete pregati di cancellarla o trovare un’alternativa»5, dall’aumento della sorveglianza negli USA e nel Regno Unito fino alle estreme conseguenze della legge bavaglio ungherese, che ha disposto l’intensificazione del controllo politico su carta stampata e sul sistema radiotelevisivo. In particolare, il sagace video di Han Hoogerbrugge, l’ironica animazione Quatrosopus, con un ritmo incalzante e coinvolgente dato dallo scorrere di azioni, dichiarazioni e domande sul tema della libertà di parola – amplificate e quadruplicate da quattro diversi volti: il poeta Ezra Pound, il romanziere Charles Dickens, il bandleader Les Brown e l’artista stesso – mette in scena l’impossibilità di risolvere, in maniera univoca, il problema della libertà d’espressione, perché come lo stesso autore conclude: «Freedom is just chaos with better lighting».

Allevare solerti e fedeli cultori di un rito polveroso o forgiare armature giuridiche in difesa di una Verità assediata (paragonata, guarda caso nella Sacra Scrittura, ad una fonte che scorre in perpetua continuità senza mai imputridire nello stagno della tradizione)6, pregiudica ogni fervida sete di comprensione: quella brama impellente di apprendere e discutere mescolata a qualche grano di tolleranza reciproca, audaci propositi e generosa prudenza. Prima di rinverdire qualsivoglia forma d’integralismo censorio, andrebbe ricordato che un’opera degna di tal nome possiede una polisemia inesauribile, scaturita proprio dall’interazione con il pubblico, e pertanto è «per sempre e definitivamente enigmatica; ha 5 miliardi di potenziali versioni – tante quanti sono gli esseri umani –»7. Se però viene defraudata della sua ragion d’essere, smesse le vesti di detonatore culturale, mendicherà leziosa, ridotta a cortigiana adulante dello status quo, il consenso compiaciuto di un potere pasciuto. L’arte invece, specie quella contemporanea ormai affrancata dall’imprinting della piacevolezza estetica, mira oculatamente a trasgredire una frontiera allo scopo di evidenziarla e metterla – appunto – “in mostra”, a sfidare il buon senso per farsi generatrice di senso ed irrompere, dissonante, nella vita degli uomini. Se un dio magnanimo ha concesso ad Adamo quella libertà di peccare che Adamo, omessa l’equazione ragione = scelta, non sembra ancora propenso a dispensare ai propri simili, l’artista, assaltando le trincee di una fede implicita e letargica, offre sollievo ai gemiti di un sapere in ceppi, figlio bastardo di un globo spottificato, manipolato mediaticamente e inebetito dal gossip. Il clamore sollevato da Haderer, Schmidlin, ConiglioViola, Serrano o Castellucci, novelli Galilei, palesa la lagnanza puritana di una generazione rispettosamente inerte dinanzi all’auctoritas, il biasimo acuminato di una congrega precocemente incline ad invocare la lesa maestà del proprio vessillo, il grido ostile di animi ottusi, pungolati – davvero ingiustamente? – dall’onere delle responsabilità individuali e dell’occultamento “delle verità”, dalla necessità dell’impegno e della critica ad ogni età e in qualsiasi contingenza, dal peso della parola, il senso delle azioni, la potenza delle immagini. Dall’ilare bellezza di uno spirito acuto che nudo si offre alla folla.

1 E. Viola, Omo in omnibus? in Flash Art, n° 297, novembre 2011.
2 J. Milton, Areopagitica: A speech of Mr John Milton for the liberty of unlicensed printing to the Parliament of England, London, 23 November 1644, trad. Areopagitica. Discorso per la libertà di stampa, Bompiani, Milano 2002.
3 A. Koestler, The god that failed. A confession, Richard Crossman Editor, New York 1949, trad. Il dio che è fallito. Testimonianze sul Comunismo, Edizioni di Comunità,  Ivrea 1957.
4 A. Oz, The tubingen lecture. Tree lectures, 2002, prima ed. in it. Contro il fanatismo, Feltrinelli, Milano 2004.
5 COLORS Magazine, n° 65, Autunno 2005.
6 J. Milton, Ibidem.
7 R. Debray, La Bibbia nei capolavori della pittura, Piemme, Milano 2004.

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Ida Nabresini è studiosa della società postmoderna e della cultura otaku. Laureatasi in Design e Arti presso lo IUAV di Venezia, ha conseguito un master in Curatore museale presso lo IED di Roma. Ha collaborato con la Biennale di Venezia, artisti internazionali e gallerie d’arte contemporanea; inoltre, ha pubblicato articoli divulgativi su riviste indipendenti e testate web.